
Micky Rosa (Kevin Spacey), professore di statistica del prestigioso M.I.T., riunisce intorno a sé una squadra di piccoli geni della matematica. Lo scopo è quello di andare a Las Vegas per vincere migliaia di dollari ai tavoli del blackjack, contando le carte e impiegando un complesso sistema di segnali. I ragazzi ce la fanno, mail gioco non è esente da rischi: chi perde lucidità e freddezza, è perduto. L’anello debole della catena è in questo caso Ben Campbell (Jim Sturgess), un nerd dal visino pulito che si trova un po’ spaesato, fra le mille tentazioni notturna della Città del Peccato.
A volte, non basta avere in mano le carte giuste. La metafora ludica calza a pennello al film di Robert Luketic (già regista di La rivincita delle bionde, un cult per adolescenti), che non riesce mai a prendere il volo, e alla fine risulta poco più di un bluff facilmente scoperto.
Eppure, di carte da giocare (…) questa produzione ne aveva: una storia vera – quella raccontata dallo scrittore Ben Mezrich in Blackjack Club, edito da Mondadori – con diversi spunti interessanti; un’ambientazione ricca di fascino (se non altro, dal punto di vista sociologico) come Las Vegas; un cast notevole, all’interno del quale spicca com’è ovvio Kevin Spacey, ma va segnalato anche un minaccioso Laurence Fishburne (il Morpheus di Matrix). Ma i pezzi del puzzle non vogliono saperne di andare al loro posto, e così la pellicola rimane su livelli di medio intrattenimento, che pure è meglio di mediocre, ma in questo caso ha l’acre sapore della sconfitta.
Nonostante gli attori non deludano le attese, i personaggi sono appena abbozzati, tratteggiati in poche battute, e questo rende piuttosto difficile che lo spettatore si interessi in qualche modo alle loro sorti. Inoltre, il complicato metodo usato dal gruppo dei protagonisti per fregare i tavoli del blackjack della Città del Peccato non può certo tradursi in scene particolarmente spettacolari dal punto di vista cinematografico: peccato che Luketic cerchi lo stesso di usare registri di regia piuttosto “urlati”, che sembrano francamente poco adatti a una vicenda fatta di tensione sottile.
Al di là degli appunti tecnici, tutta la vicenda sembra costruita per portare alla punizione dei protagonisti (che inevitabilmente arriva), forse in uno strano quadro moralista che considera eticamente sbagliato il tentativo di diventare ricchi attraverso il gioco d’azzardo.
In definitiva, il regista ingordo sembra aver chiesto al banco troppe carte. In questi casi, inevitabilmente, si sballa…
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