La storia del travestimento di Achille Lauro

di La Redazione

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La storia del travestimento di Achille Lauro

Per la semifinale del Festival di Sanremo 2020, venerdì sera Achille Lauro ha stupito indossando i panni della Marchesa Luisa Casati Stampa, eclettica nobildonna e collezionista d’arte, tra le protagoniste della Bella Époque, musa ispiratrice di grandi artisti come Marinetti, Balla e Man Ray. Su Instagram ha scritto: “Grande mecenate, performer prima della performing art e opera d’arte vivente”.

 

Chi era la Casati, che ha ispirato Achille Lauro

Protagonista di un’epoca morta e sepolta (dalla storia), quella che i francesi hanno chiamato belle époque: breve lampo all’alba del Novecento, fatto – per chi ne aveva la possibilità, ovvio – di arte, sfarzo, sregolatezza. Tutte cose che la marchesa Casati conosceva bene. Biografia breve: nata Amman a Milano da ricca famiglia borghese, divenuta nobile appena maggiorenne in virtù del matrimonio con il conte Casati Stampa di Soncino, poi sfuggita al tetto coniugale per inseguire il sogno pazzoide di divenire un’opera d’arte vivente. Come? Con il suo modo di vivere, gli abiti, il corpo. Per seguire quell’ideale abbandonò il marito e iniziò un’esistenza di eccessi tra Venezia, Parigi, Londra: divenne una musa sfuggente che scioccava l’alta società e ispirava gli artisti. Il suo aspetto eccentrico partiva dagli occhi grandi e profondi, sempre pesantemente orlati di nero, con le pupille dilatate e rese lucenti dall’uso – tanto pericoloso quanto diffuso ai tempi – della belladonna; quegli stessi occhi furono resi immortali da Man Ray, che li triplicò in uno dei suoi ritratti fotografici più noti. I capelli li tingeva di verde o arancione, mentre il viso era bianco di gesso e la bocca invariabilmente color fuoco. Gli abiti, infine, non le servivano per essere elegante, piuttosto per stupire. La Casati guardava ben oltre la moda dell’epoca, mettendo in scena geniali capricci, fino a inventare uno stile inconfondibile.

Il ritratto scattato da Man Ray nel 1922

La donna icona della moda e della sregolatezza

La disegnatrice Vanna Vinci l’ha raccontata pochi anni fa in un fumetto, in cui descrive la Marchesa Luisa Casati Stampa come una donna alta e sottile, tanto affascinante quanto triste e inspiegabile. “In fondo, non ha detto niente. Non ha spiegato né davvero fatto niente: ha comprato case, palazzi, speso un patrimonio sterminato in cose futili, o quantomeno evanescenti”, aveva dichiarato la fumettista, ed è un riassunto perfetto. Perché il punto è proprio questo: una personalità che si abbandona alle sue ossessioni fino a oltrepassare il limite dell’autodistruzione. Tutto grazie ai soldi, bolla capace di dividere dal mondo, di offrire totale libertà e assoluta solitudine. Intorno alla Casati si muove la cultura di quei tempi: oltre a Man Ray, i futuristi, D’Annunzio, Cocteau. Artisti e letterati la amano: pochi sinceramente, molti per sfruttarla, tutti la aiutano a costruire la leggenda di una donna nata con il mondo in tasca e morta perdente, un’icona sommersa del costume che periodicamente torna ad affacciarsi alla superficie. Cent’anni dopo, la sua storia dà ancora da pensare. Anche a noi, a grandi stilisti come John Galliano (che la rese protagonista di una storica sfilata Dior alla fine degli anni Novanta), e evidentemente pure a un certo rapper romano…

Una tavola da “La Casati”, di Vanna Vinci, edizioni Rizzoli Lizard