
Secondo me, è il caos. In Malaysia si estingue il Rinoceronte di Sumatra e vengono descritte tre nuove specie di gechi alle Galapagos, i cambiamenti climatici mietono la loro prima vittima sull’isola australiana di Bramble Cay, con l’estinzione del piccolissimo roditore australiano Melomys rubicola, e sull’Isola di Ponza viene scoperto un nuovo endemismo, la lucertola Podarcis latastei, i koala salgono alla ribalta della cronaca tra fake news e precisazioni della comunità scientifica e gli opossum pigmei valutano di cambiare habitat d’accordo con i ricercatori.
Insomma, in un mondo che è sempre meno a misura della vita e sempre più simile ad un carrello della spesa, le specie animali sembrano impegnate in una battaglia non tanto individuale ma di Regno. Vogliono insegnarci forse che, con la nostra incuria e devastazione ambientale, siamo capaci di eliminare intere popolazioni animali per sempre, ma che altre sopravvivono nascoste nell’ombra delle foreste tropicali dell’America del sud o dei muretti a secco del sud Italia, probabilmente con la speranza di non essere mai scoperte.
Anche se proprio la conoscenza scientifica, la ricerca, le attività di monitoraggio e le misure di conservazione possono fare la differenza nella loro esistenza per le generazioni future. E qui mi chiedo come mai in Italia le istituzioni facciano così fatica a considerare la zoologia una scienza di importanza fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici, che ovviamente riguarderanno noi in maniera diretta ma anche indirettamente, attraverso la perdita di migliaia, forse centinaia di migliaia, di specie animali.
Vero è che negli ultimi tempi qualcosa si sta muovendo per gli zoologi italiani, tra concorsi pubblici, riviste patinate e apparizioni televisive. Avete presente quando il compito in classe sta per abbattersi sul registro e dovete correre ai ripari studiando come pazzi fino all’alba? Ecco. Ma tranquilli, perché anche se continuiamo tutti a vivere come se la catastrofe ambientale imminente non ci riguardasse o fosse paragonabile ad una previsione astrologica, gli animali da un po’ di tempo ci bussano alla porta. E anche se qualcuno non vuole farli entrare beh, vi dico che loro entrano lo stesso. Si chiama inurbamento e potremmo paragonarlo ad un movimento socio-politico animale simile a quello che accadde nel Secondo Dopoguerra quando centinaia di milioni di persone in tutta Europa abbandonarono le campagne e le montagne per trasferirsi in città, dove le condizioni di vita apparivano più confortevoli.
Moltissime specie animali oggi sono così rassegnate all’espansione disordinata e inarrestabile dell’umanità e delle sue colate di cemento che si sono adattate a vivere anche nei luoghi più urbanizzati del pianeta, dalle periferie ai centri storici. Altre, a dirla tutta, questo inurbamento lo subiscono, venendo letteralmente inglobate dall’avanzata dei condomini e dei capannoni industriali. Un po’ come quando vi trovate un casolare di campagna in mezzo a palazzoni moderni, viali e negozi.
Due appuntamenti fa parlavamo di ratti, ma il ratto è solo la manifestazione più evidente di questo fenomeno poiché ci supera in numero ed è particolarmente visibile, correndo tra i marciapiedi e i vicoli in mezzo ai nostri piedi. Moltissime altre specie si muovono dentro la città in modo timido o scaltro, con l’intenzione di evitarci il più possibile, mentre di altre non ci rendiamo conto a causa del caos frastornante del traffico, delle luci e del disordine metropolitano fatto di insegne, aree verdi schiacciate tra un supermercato e un parcheggio e auto parcheggiate in verticale.
Sfruttano i filari di alberi lungo i viali, i giardinetti pubblici e privati, i parchetti – gioco, le strisce di verde accanto a treni e linee del tram, le piccole aree dismesse dei cantieri e i parchi pubblici ovviamente, vere e proprie isole della salvezza. Mangiano soprattutto quello che noi non mangiamo, quello che sprechiamo, buttiamo, dimentichiamo, hanno letteralmente strappato le pagine dell’enciclopedia alla voce alimentazione, rivoluzionando le loro caratteristiche ecologiche.
“Nidifica prevalentemente in aree forestali nutrendosi di lombrichi e piccoli invertebrati e bacche”, stoca’ dice il merlo, nidifico dentro una siepe esotica a un metro dalla linea del 59 e mangio tutto quello che cade dalla tovaglia quando la sciura qua sopra la sbatte sulla testa dei vicini.
“Ha un comportamento elusivo, volando basso e molto rapido nello strato più basso della vegetazione per evitare i predatori”, ma coooosa strilla il merlo super imbruttito pure lui, come il pettirosso di piazza Duomo (lo ricordate?), vivo saltellando impavido sul selciato che nemmeno Jane Fonda quando insegnava aerobica. Ma il merlo non è nulla: alla Stazione centrale di Milano nidificano i gheppi, sulle torri della Fiera di Bologna e all’EUR i falchi pellegrini. Gli stormi a migliaia scelgono le aree verdi urbane come dormitori così come i gufi, che prendono di mira qualche palazzo e si radunano a decine.
Pipistrelli, rondini e rondoni sfruttano pertugi e sottotetti degli edifici più vecchi, come la chiesa di Zelato a Bereguardo, in provincia di Pavia, che di pipistrelli ne ospita duemila. I gabbiani si appropriano degli attici per nidificare e prendono a testate gli inquilini umani se solo osano affacciarsi dalla porta finestra. E a proposito di uccelli, magari non immaginate che la metà delle specie esistenti in Italia è osservabile anche in molte città così come l’80% di quelle nidificanti.
Ma forse le vere sorprese sono offerte dai mammiferi. Non è più strano trovare caprioli e cinghiali in piena città a Genova, Roma, Bologna o Parma, mentre le volpi nelle ore notturne sfidano i gatti intorno ai cestini della spazzatura, raggiungendo numeri incredibili (fino a 30/kmq a Londra!) insieme a ricci, ghiri, faine, tassi, scoiattoli rossi e scoiattoli grigi. Ultimamente si spingono nelle periferie urbane perfino i lupi. Uno di questi, qualche mese fa, ha imboccato le acque fresche del Naviglio grande, direzione Darsena, a Milano.
Spesso gli animali seguono proprio i corsi d’acqua nelle loro attività esplorative di pianura, perché sono corridoi ecologici che conservano un grado di naturalità soddisfacente per sentirsi protetti e gli uomini non li frequentano granché, se non per pescare. Solo che a volte questi corsi d’acqua diventano di cemento e uscirne è impossibile. Ambrogio (era stato chiamato così) chissà cosa sperava di trovare procedendo baldanzoso verso il centro di Milano. Forse la sua Marta, nelle vesti di una pollastra milanese acchittata per l’aperitivo. Fatto sta Ambrogio che ti hanno dovuto salvare i pompieri. Sorpresi di questa incredibile fauna urbana? Io, che forse sono un po’ selvatica, mi sento meno sola.
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