
In occasione dell’uscita del suo nuovo album “Facile”, abbiamo intervistato Boosta, Davide Di Leo all’anagrafe, disponibile a partire dal 30 ottobre in formato CD, Vinile e su tutte le piattaforme digitali per l’etichetta Warner Music Italy.
“Facile è una passeggiata su un sentiero suggerito. Comporre i pezzi di strada all’interno di un disco è un mestiere bellissimo. È una delle parti che amo di più. Ho sempre la sensazione di essere un cartografo che disegna una mappa e quella mappa chissà dove finirà. È un disco liquido, mi piace immaginarlo come un bel portagioie un poco impolverato. E all’interno, beh, ognuno merita di metterci quello che desidera. È la bellezza della musica e della musica strumentale in particolare. C’è spazio per la voce di chi ascolta”.
È così che Boosta presenta “Facile” sottolineando la bellezza di questo mestiere e del comporre, di quanto la musica sia la forma d’arte più veloce (ognuno di noi ha una colonna sonora della vita) e quindi può essere considerata un “calmante sociale”.
Non solo, da consapevole perfezionista e musicista, Boosta ha parlato anche delle ultime generazioni e del loro approccio alla musica, dando qualche consiglio, come quando è stato un prof di Amici, per esempio quello di non ridurre la grammatica musicale ad un “Bignami” e di ascoltare “Avrai” di Claudio Baglioni. Perché? Fatelo e capirete!
L’intervista a Boosta
Sei un artista molto attento ai giovani talenti, e qualche anno fa sei stato anche uno dei professori di Amici. In generale, cosa noti di diverso e cosa di simile tra le nuove generazioni e la tua?
C’è una distinzione di fondo. Chi fa musica per essere popolare, e chi fa musica perché ne ha bisogno e utilizza la popolarità come strumento non come obiettivo. Inutile dirti per chi faccio il tifo… Questo è il grande misunderstanding. Avere successo significa la possibilità di realizzarsi attraverso la propria passione (nel caso specifico la musica ) ed “essere famoso” è un corollario, non fondamentale del tuo successo personale, a volte, questo lo perdiamo un po’ di vista.
Quando parli di musica, descrivi anche la sua grammatica, discutendo di strutture armoniche, linee di basso… Hai affermato che nella musica di oggi, l’aspetto grammaticale ne soffre. Secondo te, perché?
Lo studio è una cosa, gli strumenti e le possibilità sono quasi infiniti, ed è un mondo affascinante. Poi c’è il gusto cui spesso si va dietro con la scusante di raccontare il momento con i suoni del momento. E la scrittura delle canzone striminzisce, diventa piatta.
È come avere una lingua intera a disposizione e accontentarsi di imparare pronunciandole male le frasi alla fine di una guida per il viaggio. “Where is the restroom?”
Cosa consigli ad un giovane artista? Sono le cose che avresti voluto sentirti dire?
Di fare quello che hai bisogno di sentire. E allora ci sarà chi si riconoscerà in quello che fai. Non l’opposto. Non ci sono bacchette magiche e non c’è garanzia di riuscita. Ma se ne hai bisogno, hai il dovere di farlo.
Ci consigli qualche disco da ascoltare?
Il concerto di colonia” di K.Jarrett, Back in black degli Ac/Dc, Dionne Warwick canta Burt Bacharach, Exit planet dust dei Chemical Brothers, Musica callada di Féderico Mompou e tutto quello che vi va di scoprire!
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