Sbullizzati 4 MEiD

di Salvatore Vitellino

Sbullizzati
Sbullizzati 4 – MEiD

Ha fatto il suo esordio a inizio 2017, si chiama Michael Bernardoni, in arte MEiD. Si è fatto conoscere con A testa bassa, un video che racconta la violenza e l’isolamento che si può provare in una qualsiasi scuola, in un qualsiasi momento di una qualsiasi infanzia, di una qualsiasi adolescenza. MEiD viene da Formigara, mille anime in provincia di Cremona, e il video è stato girato nella scuola media di San Bassano. Paesini piccoli, della bassa padana, piatta e nebbiosa. Uno penserebbe che in questi posti ci si conosca tutti, che ci sia solidarietà, mica come nelle grandi città, dove sei isolato ed è più facile essere preso di mira da qualcuno.
E invece no. Anche nei paesini isolati puoi rischiare di finire vittima di bullismo, e le conseguenze sono ancora più dannose, perché in un posto di mille anime se finisci isolato dal tuo gruppo, sei isolato da tutto!
È quello che è successo a Michael: quando era alle scuole medie si è ritrovato gli “amici” contro, e ha passato anni davvero brutti. E questa esperienza adesso l’ha trasformata in una canzone che è anche un chiaro messaggio contro il bullismo, e contro chi al bullismo si rassegna.

Smemoranda: Che tipo di bullismo hai subito? quello aggressivo e fisico, con botte e umiliazioni, o quello più insidioso dell’esclusione?
MEiD: Io sono stato vittima di quel bullismo che tu definisci insidioso, quello dell’esclusione. All’età di circa 13 anni (anni in cui io credo si cerchi in tutti modi di emergere), i compagni hanno iniziato ad escludermi, deridendomi e disprezzandomi di fronte ad altri nostri coetanei, arrivando al punto di convincere quest’ultimi a fare lo stesso.
Per circa un anno io sono rimasto praticamente solo, passavo giornate in casa a leggere e a sperare che il giorno dopo le cose andassero meglio.
Non posso dire che col tempo la situazione sia migliorata, ma credo che la mia più grande fortuna, sia stata quella di avere una famiglia che mi sosteneva e mi stava vicino.

In più interviste tu hai detto che sei stato “tradito” dagli amici: erano proprio gli amici del tuo gruppo a isolarti e vessarti. La domanda è d’obbligo: ma che amici erano?
Coloro che mi hanno vessato erano gli amici di infanzia, quelli che ti porti dalle elementari, quelli con cui passi ogni giorno per almeno cinque anni della tua vita. Io sono sempre stato convinto, e lo sono tuttora, che gli amici siano una delle cose più preziose a questo mondo. La tua domanda mi ha fatto riflettere: forse, da un lato, io sono rimasto fedele a un’idea di amicizia che per loro non aveva un gran valore, ma sono certo che il motivo per cui si comportassero così nei miei confronti, fosse una loro normale (a quell’età) esigenza di emergere, che però a me non apparteneva in quel modo.  Anche io voglio emergere, ma senza “abbattere” gli altri, come nel mondo della musica di cui voglio far parte, ma solamente dimostrando quanto io valga e quindi senza screditare il valore degli altri.

Leggendo i giornali, e raccogliendo storie di giovanissimi come te, emerge che il bullismo può colpire in tenera età, già alle elementari. E sembra che non si salvi nessuno, in un modo o nell’altro, o sei vittima o sei testimone. Quasi tutti hanno a che fare col bullismo, oggi. Ma che sta succedendo?
Credo che sia cambiato il modo di vivere soprattutto dei giovani: i miei genitori mi han raccontato che ai loro tempi si era molto più semplici sia nell’essere che nell’avere, soprattutto nei paesi. Oggi, invece, sussiste più che altro «la cultura del più ho e meglio è», ma più si ha e più si vuole. Davanti a questo voler di più, le cose materiali non bastano e i bulli vogliono qualcosa che non hanno rubandola agli altri, fosse anche la dignità: i bulli se la prendono con chi reputano più debole, ma anche con chi viene considerato diverso. Lo “strafottente” è sempre esistito, ma il bullismo, fenomeno dilagante di cui oggi si parla, credo, troppo poco, è un’altra cosa e sono inorridito nello scoprire che molti adulti pensino che sia cosa da poco, tanto da dire: «ci sono passati tutti, e non è mai morto nessuno!»

A proposito di genitori, tu hai detto in un’intervista che se un ragazzo non vuole far sapere nulla ai genitori dei suoi problemi comunque ci riesce. Ma tu, alla fine, negli anni della media quando la tua esclusione ti faceva tanto soffrire, hai chiesto aiuto ai tuoi genitori? E se sì, loro cosa hanno fatto o ti hanno consigliato?
Sì, durante il periodo in cui io ho tanto sofferto, come spesso ho raccontato, l’unico appoggio reale e sicuro che avevo era quello dei miei genitori. Crescendo mi sono reso conto che la situazione fosse difficile per me quanto per loro. Sono certo che vedere una persona cui si vuole così tanto bene, soffrire nel modo in cui soffrivo io, deve essere una cosa veramente struggente, una cosa che ti segna, qualcosa che ti lascia senza fiato. Oggi capisco come si sia sentita mia madre quando le raccontavo e con lei mi aprivo: mi ascoltava e con me piangeva (e lo fa anche ora), ma io non mi sentivo solo, anzi le sue lacrime erano segno della sua comprensione e solidarietà… non aveva la bacchetta magica, ma se l’avesse avuta ….
Mio papà cercava di sdrammatizzare sottolineando il mio valore e rincuorandomi, ma io facevo fatica a crederci, anche se per un attimo stavo meglio. Han parlato con i miei insegnanti che però anche loro erano disarmati davanti al subdolo bullismo che subivo e che si manifestava purtroppo anche negli ambienti extra scolastici.

Nel testo della tua canzone c’è una strofa che fa capire quanta sensibilità tu hai riguardo all’altro, quello che ti fa soffrire. Dici: «sono solo uno a cui hai rubato tutto, nessuno è abbastanza bravo da capire che sei distrutto. Quante volte siamo stati a testa bassa, anche se forse non nella stessa circostanza».
Per me vittima e carnefice sono quasi speculari perché il bullo è alla triste ricerca di quel qualcosa che gli manca ed è triste quando senti un vuoto che neppure tu sai come colmare… Credo che in certe situazioni si tenda a concentrare l’attenzione sulla vittima e sull’atteggiamento del bullo, senza soffermarsi a chiedersi perché quest’ultimo abbia agito così: forse perché, talvolta, è più facile considerare le sue azioni come il risultato di una diseducazione o una mancanza di valori.

Un altro passaggio importante della tua canzone è il rimorso di non avere fatto abbastanza. Dici: «Se solo avessi fatto meglio, se solo fossi stato un po’ diverso». Penso che questo rodersi dentro per non aver saputo affrontare la situazione, l’orgoglio ferito, l’umiliazione per non essere stati all’altezza, siano uno degli aspetti più dolorosi di chi è vittima di qualunque vessazione o bullismo.
A 13 anni mi han fatto sentire inferiore, incapace, ma sono cresciuto e ho capito che non ero “sbagliato” e “se avessi fatto meglio, se fossi stato un po’ diverso”, non sarebbe cambiato nulla perché il ragazzo inadeguato non ero io.
Ai tempi mi rodevo e non avevo idea di come affrontare la situazione; quella frase rappresenta un presa di coscienza da parte mia. Dopo anni ho capito che le domande che mi ponevo, il mio cercare qualcosa da cambiare in me, era inutile e non mi avrebbe aiutato a “salvarmi”.

Adesso che sono passati alcuni anni, con quegli ex amici che ti hanno bullizzato ti sei “parlato”? Ti hanno chiesto scusa? Insomma sono cresciuti? O sono rimasti sempre gli stessi, a dimostrazione che il bullo è fondamentalmente uno che ha problemi di sviluppo affettivo?
Mi piace la definizione che dai di bullo: uno che ha problemi di sviluppo affettivo. Sono d’accordo con te.
A distanza di anni, posso dire quasi con piacere, che ho avuto occasione di intrattenere discorsi di carattere generale con i miei “vecchi amici”, ma – a meno che non l’abbiano fatto mentre dormivo o dopo avermi narcotizzato – non mi hanno chiesto scusa, perché secondo me non si sono neppure accorti del male che mi hanno provocato. Non saprei però dire se han superato i loro problemi affettivi, ma posso dirti che io non ne ho!

Nella canzone tu “perdoni” il bullo, perché in fondo capisci che lui soffre ed è vittima di se stesso. E poi in un’intervista hai raccontato che al primo anno di liceo quando hai cominciato a uscire con nuovi amici hai assaporato il piacere di una socialità che avevi perso e ti sei detto “vaffanculo ne sto uscendo!”. Beh, qual è la morale? Che alla fine basta uscire dall’ambiente ristretto e malato in cui ti vogliono confinare i bulli per scoprire che si possono avere veri amici e che l’amicizia salva tutto? Sono troppo buonista?
No, non ti definirei buonista, altrimenti dovrei farlo anche con me stesso.
Non direi che l’amicizia salva tutto, ma ti insegna tanto e ti fa sentire sicuro e protetto. La mia esperienza, come dico sempre, mi ha portato via molto, ma mi ha sicuramente insegnato altrettanto: se non fosse stato per quei momenti ora non mi renderei conto del bene che voglio a quei ragazzi che in prima liceo mi hanno dato di nuovo speranza, a quei ragazzi che ancora me la danno, che mi fanno sentire sicuro e, di certo, parte di qualcosa più grande di me.
Ogni piccolo traguardo lo voglio dedicare anche a loro che hanno contribuito a farmi diventare la persona che sono e, se potrò, come spero, continuare ad aiutare molti ragazzi, saprò farlo anche grazie al loro esempio.
Se dovessi trovare la morale in tutto questo, sarebbe che la cosa più importante è non lasciarsi abbattere e per quanto possa sembrare impossibile, c’è sempre qualcosa di speciale che ci spinge a diventare migliori e a trovare del bene anche in ciò che ci ha fatti stare male, per poi metterlo al servizio degli altri.

Concludiamo con una domanda imprescindibile: il ruolo della musica. Tu hai sempre suonato la chitarra, sin da piccolo. Hai detto in una intervista che componevi canzoni da piccolo. A che età? Quindi la passione per il rap non è un fulmine a ciel sereno. Insomma, quanto questa passione per una forma d’arte ti ha aiutato a non soffocare nell’isolamento in cui ti avevano confinato gli altri, a non perdere la bussola? A sentire che comunque avevi qualcosa da dire? Che potevi trasformare il tuo dolore in qualcosa di bello e condivisibile (come dimostrano ad esempio i commenti su Youtube alla tua canzone)?
Io ho un rapporto molto particolare con la musica, è sempre stato così. Ho composto le mie prime canzoni all’età di 9 anni. Appena finivo un testo passavo subito a quello dopo, finché non avevo più abbastanza pagine nel quaderno. Crescendo, con la scoperta del rap, e soprattutto negli ultimi mesi, ho capito che vorrei  che la mia musica desse vita ad un movimento: non voglio che essa si limiti ad essere un insieme di suoni, parole e concetti, ma vorrei che potesse rappresentare una via per cambiare le cose, per riflettere e unire le persone a pensare e a confrontarsi, soprattutto oggi che molta musica è spoglia di contenuti, a cercare il bene e a praticarlo, senza perdere la dimensione magica e rilassante che essa stessa ha.
La musica è stata per me il canale attraverso cui poter dire, ma anche gridare le mie convinzioni, i miei pensieri, le mie esperienze, i miei valori, il mezzo attraverso cui provare ad arrivare alle persone e quindi aiutarle.