Casa Emergency: dove si costruisce la pace

di Martina Mozzati

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Casa Emergency: dove si costruisce la pace

Emergency ha una nuova sede a Milano: una scuola pubblica in disuso oggi ospita Casa Emergency, uno spazio aperto alla città per praticare i diritti e promuovere la cultura di pace. Ogni settimana in programma eventi per i più grandi e i più piccoli, con cui l’organizzazione umanitaria si propone di avvicinare i visitatori a realtà di guerra più vicine di quanto si pensi. La sede italiana non è solo il centro amministrativo: si può curiosare per i vari piani, percorrere i gradini che rappresentano i traguardi raggiunti da Emergency dal 1994 ad oggi. La Sala Polifunzionale che si affaccia su giardino, invece, è il luogo delle conferenze aperte al pubblico, cui partecipano giornalisti, medici e fotografi i quali hanno anche la possibilità di esporre i propri reportage svolti negli ambulatori di Emergency e nei territori circostanti. 

L’organizzazione di Gino Strada ha così trovato un suo spazio dove spiegare realtà complesse a chi desidera saperne di più, con interventi che non riguardano solo l’ambito medico, ma veri e propri racconti di terre e culture che sembrano non appartenerci. Ma non per questo sono inavvicinabili. Ex-volontari, medici, infermieri condividono le loro esperienze e, con loro, giornalisti inviati di guerra che hanno visitato gli ambulatori dell’organizzazione, o studiosi di geopolitica, capaci di dipingere una realtà che sia al contempo culturale, storica e politica.

Nei loro occhi e nella loro voce l’orrore di chi ha visto la morte, i feriti giungere ad ondate durante la guerra, e che continuano a bussare ai loro ospedali anche a scontro concluso a causa di mine inesplose, attacchi isolati, denutrizione. Sono le stesse voci che testimoniano l’entusiasmo e la forza di chi interviene ogni giorno sul campo per strappare piccole e grandi vite dalla morte, per ridare speranza a chi vive ogni giorno la realtà della guerra e le sue conseguenze a lungo termine. Afghanistan, Iraq, Libia, Sierra Leone, Repubblica Centrafricana, Sudan e Italia. Questa la lunga lista di paesi che ospitano ambulatori e ospedali gestiti da Emergency e dal suo personale internazionale.

Abilitati in tutti i cambi della medicina – dalla ginecologia, alla pediatria, dalla chirurgia alla fisioterapia – gli operatori lavorano in nome di una sanità fondata sui principi di eguaglianza, qualità e responsabilità sociale. Un concetto di ‘cura’ che deve essere fornito equamente e senza discriminazioni a tutti i pazienti; con sistemi sanitari adeguati ai progressi della scienza medica e non orientati da aziende o gruppi di potere; con servizi che devono essere gratuiti ed accessibili a tutti.

«Vogliamo che i nostri ospedali siano anche belli, “scandalosamente belli”», afferma Gino Strada, «perché la bellezza diventa segno di rispetto verso persone profondamente segnate dalla guerra o dalla malattia e un luogo bello offre le condizioni essenziali per recuperare dignità nella sofferenza». Gli ambulatori sono vere e proprie oasi di pace nella polvere della guerra, in lontananza si scorgono le bandiere bianche e i giardini di cui ogni struttura è dotata, insieme a spazi gioco per bambini e luoghi di aggregazione. «Attorno a quei giardini di rose, di girasoli, di cespugli fioriti si radunano i pazienti dell’ospedale», queste le parole di Roberto, infermiere in Afghanistan, «e quei pochi metri quadrati di colori e di pace diventano il loro punto di ritrovo, il loro sfogo per lo sguardo e per la mente».

 

Rossella Miccio, presidente di Emergency, non parla di «generosità», ma di «fare ciò che è giusto»: significa offrire cure gratuite e efficaci, nel campo dell’educazione invece si tratta di divulgare una cultura di pace. Perché la pace si costruisce mattone per mattone. La prima pietra si poggia educando le giovani generazioni alla tolleranza: in Occidente questo è possibile nelle scuole, dove insegnanti e volontari dell’organizzazione ogni giorno avvicinano i più piccoli con incontri e letture. Nei territori di guerra il lavoro è più complesso perché il confronto nasce con culture che danno grande importanza a valori quali la religione, dove ancora ci sono grandi disparità tra sessi e la libertà è un concetto lontano.

È una battaglia quotidiana, e Emergency la affronta assistendo chiunque ne abbia bisogno, senza distinzioni. La sua totale neutralità è anche servita per essere accettata dalle popolazioni locali, che così hanno compreso di poter giovare per primi della loro presenza sul territorio. In Afghanistan, il centro chirurgico per vittime di guerra di Lashkar-gah ospita ogni giorno persone di tribù diverse, talebane e non: la popolazione si abitua all’idea che non ci sono differenze. Il valore dell’eguaglianza si diffonde anche grazie alla collaborazione del personale medico con ONG locali che operano nel campo dell’educazione sia negli ospedali che nei campi profughi. Volontari che parlano la stessa lingua dei pazienti: sono loro i più adatti ad aprire efficaci canali comunicativi con bambini e adulti, loro i più vicini alla comprensione del trauma della guerra perché connazionali. 

Il furgoncino bianco con la “E” rossa sfreccia sicuro sulle strade sterrate, fiero dell’aiuto che fornisce, sicuro di fare la cosa giusta. Ma il lavoro di Emergency non è privo di pericoli, situazioni ostili, e la sicurezza è sempre relativa al paese considerato, alla cultura della sua gente, alla situazione politica. A questo proposito si esprime Michela Paschetto, coordinatrice del centro di Sulaimaniya in Iraq, in occasione della conferenza “Iraq. 15 anni di guerra”. Sottolinea le enormi differenze riscontrate tra i progetti in Afghanistan e quelli in Iraq dovuti al diverso tipo di guerra sul territorio. In Iraq, infatti, negli ultimi anni la presenza di ISIS ha compromesso molto l’efficacia del lavoro di Emergency, perché gli operatori non avevano possibilità di entrare nei territori occupati. Da qui l’aumento vertiginoso di vittime, a cui un tempestivo intervento avrebbe evitato l’amputazione di arti o il decesso. Per lo stesso motivo le cliniche di Emergency si concentrano su ambiti particolari in base alle esigenze della popolazione.

In Sierra Leone, per esempio, si sono rivelati fondamentali il centro pediatrico e le basi di primo soccorso visto l’alto numero di bambini vittime di incidenti stradali e sul lavoro, piccoli malati di malaria e anemia o intossicati dalla medicina tradizionale.Tra tutti, però, colpisce il fenomeno dilagante delle “vittime della soda”. Per guadagnare qualcosa, infatti, le donne sierraleonesi hanno iniziato a produrre sapone in casa, ed è stato allora che i bambini hanno iniziato a scambiare la soda caustica per zucchero. In un paese in cui l’aspettativa di vita alla nascita è di 51 anni, l’ambulatorio di Emergency è uno dei pochissimi centri in grado di ricoverare i “bambini della soda” grazie a 3 sale operatorie in cui si lavora giorno e notte. 

È dunque difficile dare un’idea generale dei vari progetti, vista la varietà di situazioni in cui i volontari si trovano a dover operare. Ma di certo è fondamentale ricordare che Emergency non è solo interventi chirurgici, non solo garze bianche e controlli sanitari. Si tratta di uguaglianza, parità, valori imprescindibili la cui divulgazione passa attraverso il canale dell’educazione dei più giovani nelle scuole occidentali, così come negli ambulatori e nelle scuole dei campi profughi in Africa e Medioriente.

Le conferenze di Casa Emergency sono un modo per conoscere il mondo: veri e propri “Dialoghi sulle migrazioni”, che si concluderanno il 22 marzo con il meeting dal titolo “Notizie da paura. Il racconto mediatico del fenomeno migratorio”. Il quarto incontro della rassegna si terrà insieme a Paola Barretta, docente a Pavia e da dieci anni supervisore dell’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza, che unisce la percezione delle insicurezze dei cittadini europei. Perché la guerra nasce dalla paura, come l’odio, e per comprendere le fobie dell’Occidente è fondamentale il confronto con uomini e donne, giovani e adulti. Attraverso il confronto tra specialisti e pubblico, solo in questo modo è possibile comprendere le cause dei conflitti, non ripetere gli errori, e diffondere così la parola ‘pace’.