Il cervo è cornuto (e rischia di andare in bianco)

di Mia Canestrini

Sei una bestia - Storie di Smemo
Il cervo è cornuto (e rischia di andare in bianco)

Complici alcuni impegni legati alla promozione del mio libro, questo weekend ho lasciato Milano alla volta dell’assolata Romagna, dove vive mio padre e casualmente, ma proprio casualmente, lavora un gruppetto affiatato di amici che, ancora più casualmente lo giuro, si occupa di animali selvatici come me. Benché la necessità di portare uno stipendio a casa a fine mese faccia sì che debbano dedicarsi anche ad altre specie, una delle loro specialità è il lupo. Casualmente, come me.

Ammetto di non essere una che vanta centinaia di amici, e ammetto anche che su venti amici, venti fanno gli zoologi e tutti e venti, a tempo pieno o part time, si occupano o si sono occupati di lupi. Come vi raccontavo qualche puntata fa l’opinione pubblica, attraverso la stampa e la televisione, ci ha appioppato il nome di lupologi. Quando riusciamo a vederci in qualche remoto angolo dell’Italia e ci facciamo il solito selfie (ebbene anche gli zoologi se ne fanno un sacco, a volte anche con gli animali che studiano e che fissano il telefonino con aria estremamente perplessa) usiamo l’hashtag #lupologiinliberauscita che a me fa tanto ridere.

La verità è che i lupologi non staccano mai dalla loro ossessione se non, come nel nostro caso, in due momenti: quando arriva in tavola un vassoio di tagliatelle al ragù che sushi di tutto il mondo scansate, oppure quando inciampano in un’altra specie passeggiando insieme lungo un sentiero per digerire. Lì parte lo spiegone di uno di noi più esperto degli altri e io sto per farvi uno spiegone su un paio di animali che da circa un mese riempiono di versi cavernicoli i boschi di Alpi e Appennini: i cervi e i daini.

Domenica tra una chiacchiera e l’altra partivano dei rutti e dei grugniti che ciao, ma non eravamo noi, lo giuro, erano i daini in amore. Il daino ricorda vagamente il cervo ma è un po’ più piccolo, anzi molto più piccolo (60 kg contro i 200 kg di un cervo), il suo mantello può essere melanico, albino, isabella (no, non assomiglia a vostra cugina Isabella, si chiama così il mantello che ha una tonalità tra il grigio e il giallognolo) o pomellato (cioè marrone con i pallini bianchi) e il suo palco, cioè quella specie di coppia di rami che gli spunta dalla testa, ha la caratteristica di essere palmato. Mentre il palco del cervo termina con punte molto visibili e che sicuramente tutti avete notato almeno una volta nella vita, quello del daino assomiglia a una pala un po’ storta, a un remo venuto male, insomma è diverso: andatevelo a cercare su Google.

Sia i daini che i cervi appartengono alla famiglia dei cervidi e hanno un paio di caratteristiche in comune. La prima è che si riproducono entrambi a inizio autunno, i cervi di solito a settembre e i daini invece da metà ottobre a inizio novembre. La seconda è che, per rimarcare agli altri maschi che sono pronti ad accoppiarsi con più femmine possibili (non sono tipi che si accontentano) non assumono strane pose con la sigaretta in bocca né si danno litri di Intesa pour Homme, semplicemente (e in modo molto sobrio aggiungerei) iniziano a gridare come pazzi che vogliono fare sesso e sono pronti a combattere fino alla morte.

I loro richiami d’amore si sentono a km di distanza e in quei giorni dagli ormoni a palla sono così bolliti che spesso si fanno avvicinare dalle persone o da altri animali a pochi metri. Non fatelo però, perché quando dico bolliti intendo proprio bolliti e capita che prendano a cornate cose senza senso, incluse auto e persone. Avete presente: una voglia di quella-roba-lì da prendere a testate il muro? Ecco, per daini e cervi è veramente così. Pensate che imbarazzo se fuori dalle discoteche o dai locali i ragazzi dovessero far capire alle ragazze che sono disponibili a suon di bramiti (così si chiama il verso che daini e cervi fanno). Quello del cervo poi sembra una sorta di ruggito, tanto che una volta un amico non molto avvezzo a questi suoni lo ha scambiato per il verso di un grizzly e si è arrampicato su un albero. E’ rimasto lì una notte intera. Vabbè.

Così insomma, l’autunno non è solo la stagione delle castagne ma anche dei cervi e dei daini incazzati per amore. Una gran fatica perché non formano coppie monogame appunto, ma realizzano il sogno di ogni maschio italiano medio: hanno un harem di femmine e in primavera avranno un esercito di piccoli dainini o cerbiatti dei quali le femmine si occuperanno da sole, perciò sì, forse il comparto maschile di questi animali ha davvero capito tutto.

Ma per ogni maschio che riesce a convincere un po’ di femmine che la poligamia fa bene ce ne sono decine che restano a bocca asciuttissima. I più audaci affrontano il maschio che sta vincendo a testate e a volte vincono perfino, gli altri se ne stanno tutti da una parte avviliti con i palchi ammosciati sulla testa (è una metafora elegante non so se si è capito). Finché non saranno abbastanza grossi o non avranno dei palchi grossi come delle sequoie niente da fare signori, le femmine non se li fileranno granché.

Il palco nei cervi e nei daini è un po’ come il macchinone per uomo tra i 40 e i 50. Deve impressionare. Durante la stagione degli amori viene anche utilizzato per marcare il territorio, viene cioè strofinato contro alberi e arbusti che riportano vistosi scortecciamenti, un po’ come se il maschio 40-50enne di turno strofinasse la propria grossissima auto contro i muretti. A primavera il palco però cade a tutti i cervi (si stacca letteralmente) e ricrescerà nell’arco dei mesi successivi, a volte più grande ancora, altre più bruttino, perciò se non altro ci sarà speranza anche per chi è andato in bianco.