La storia è semplice: è il 1983, Elio (Timothée Chalamet) ha 17 anni e vive in una bella casa nella campagna lombarda con la famiglia. Il padre è docente universitario e ogni estate ospita uno studente. Quest’anno tocca a Oliver (Armie Hammer), 24 anni.
Tra Elio e Oliver ovviamente nascerà una storia. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di André Aciman.
“[…] Chiudo gli occhi, dico quella parola e mi ritrovo in Italia, tanti anni fa, cammino lungo il viale alberato, lo guardo scendere dal taxi, camicia celeste svolazzante aperta sul davanti, occhiali da sole, cappello di paglia, pelle ovunque. All’improvviso mi stringe la mano, mi passa lo zaino, scarica la valigia dal bagagliaio e mi chiede se mio padre è in casa.
Chissà, forse è iniziato tutto in quel preciso istante: la camicia, le maniche rimboccate, i talloni arrotondati che entravano e uscivano dalle espadrillas consunte, ansiosi di saggiare la ghiaia calda del vialetto che portava a casa nostra, chiedendosi a ogni passo: «Dov’è la spiaggia?»
L’ospite dell’estate. L’ennesima scocciatura.” André Aciman
Un film sul desiderio, l’attesa, la voglia. Una storia sul tempo lento, possibile solo perché erano gli anni ’80. Una lentezza oggi mitica, tant’è che si tende a credere che il giovane protagonista sia in vacanza con i genitori nella tenuta di campagna e non che si possa vivere in un posto così fermo anche in inverno, che poi invece arriva inclemente. Dunque un amarcord per chi ha conosciuto la lentezza.
“Il tempo ci rende sentimentali. Forse, in fin dei conti, è colpa del tempo se soffriamo.” André Aciman
Il tempo sospeso delle passeggiate in bici, delle giornate in pantaloncini, dei bagni al fiume visto ora da qui fa invidia.
Un film sulla scoperta del sesso, del piacere e soprattutto dell’ardore.
Elio è figlio di ebrei intellettuali (credo vada specificato perché anche questo farà la differenza per una storia molto comune che diventa troppo particolare e può permettersi di tornare ad essere comune grazie alla comprensione familiare…). È una storia d’amore che ridà normalità ad ogni storia d’amore, con i suoi palpiti, le sue attese, le sue sconfitte, come ogni intensa storia d’amore, etero o gay che sia. Come ogni storia d’amore da ragazzi. Come ogni prima storia d’amore. Come ogni storia d’amore celata.
A un certo punto potrebbe annoiare, proprio perché indugia sull’amore: il confine tra romantico e stucchevole è sempre molto labile!
Un crescendo di languore che il regista e forse prima lo scrittore (non ho letto il romanzo) rappresenta con maestria nella spossatezza di un’estate assolata. Elio un po’ come Agostino di Moravia, una storia di formazione, di crescita, di sesso. “Diventa grande…” troverà scritto su un biglietto che segnerà la linea d’ombra nella vita del ragazzo, del prima e dell’irrinunciabile dopo. Come Agostino, che alla fine di tutto chiederà alla madre di essere trattato da adulto.
“Sono innamorato? Sì, perché sto aspettando” scrisse Roland Barthes in Frammenti di un discorso amoroso. L’attesa è l’altro grande tema. Ore di attesa. Orologi interrogati ogni minuto. Voglia voglia voglia.
E poi la rinuncia, il dolore per quello che non sarà mai sapendo ormai che sarebbe stato forse grandioso.
L’età adulta che arriva non con la scoperta del sesso, non con l’amore, ma con la fine della libertà di poter fare le cose belle che si desidera fare, propria dei bambini. L’età adulta che arriva con la fine della leggerezza.
Il giovane protagonista Timothée Chalamet, nominato come migliore attore agli ultimi Golden Globes, è fra i candidati agli Oscar 2018 per la sua interpretazione, ha in realtà 22 anni, è anche lui francese come Roland Barthes, ed è cresciuto a Manhattan.
Un film sulla libertà e il dolore che la libertà a volte comporta. L’omosessualità sarà solo un dettaglio e non sta nei baci di Elio e Oliver, non sta nella morbosa ed erotica scena della pesca, non sta nei pantaloncini più corti e il bel volto dello studente, ma l’ancora irrisolta questione omosessuale sta tutta nel discorso finale del padre: “Stai male e ora vorresti non provare nulla, forse non hai mai voluto provare nulla, ma ciò che ora provi io lo invidio… Soffochiamo così tanto di noi per guarire più in fretta, così tanto che a 30 anni siamo già prosciugati e ogni volta che ricominciamo una nuova storia con qualcuno diamo sempre di meno, ma renderti insensibile così da non provare nulla, è uno sbaglio…”.
Poi alla fine del film arriva il gelo dell’inverno…
“E tornando a quella sera, quando saremo vecchi, parleremo ancora di questi giovani come se fossero due sconosciuti che abbiamo incontrato sul treno, che ammiriamo e vorremmo aiutare. E ci verrà da chiamarla invidia, perché chiamarlo rimpianto ci spezzerebbe il cuore.” André Aciman
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