Clark: vita spericolata e sindrome di Stoccolma

di Redazione Smemoranda

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Netflix in questo periodo ha un po’ di problemi, e pare stia perdendo abbonati. Soprattutto però, le serie di Netflix ultimamente non sono proprio granché. Il fatto positivo è che, visto che ha un miliardo di contenuti, qualcosa di buono si trova sempre. Tipo questa serie, Clark, che conferma che è meglio evitare le serie spagnole, quelle italiane e spesso anche quelle tedesche e francesi. In compenso, ci sono due garanzie di qualità: una è l’oriente, l’altra è il nordeuropa. E infatti la serie più divertente di  Netflix dell’ultimo periodo viene dalla Svezia.

Clark prende il nome da Clark Olofsson, criminale svedese degli anni Settanta la cui fama si è allargata al mondo intero quando ha partecipato alla rapina alla banca Sveriges Kreditbanken di Stoccolma. Una rapina durata sei giorni, in cui i due rapinatori rimasero asserragliati dentro la banca con alcuni ostaggi per sei giorni, e quando finalmente si arresero alla polizia, sorpresa: i sequestrati sembravano diventati loro amici, raccontavano di essere stati trattati bene, si preoccupavano per il destino dei due malviventi. Insomma, era nata la celeberrima sindrome di Stoccolma.

Clark: Da mitomane a mito

La rapina arriva al quarto episodio su sei di questa miniserie, che però gioca proprio a metterla in scena, questa sindrome, a ogni episodio, perché è tutta costruita per farci provare empatia, e pure simpatia, nei confronti del criminale protagonista. Ed effettivamente è difficile non cadere vittima del gioco di seduzione del protagonista, bello, simpatico, ovviamente aiutato dal tono leggero con cui la serie racconta anche le peggiori nefandezze. Anzi, più che leggero, lo stile è proprio esagerato, sempre: montaggio velocissimo, ritmo sempre sopra le righe. Ecco, questo è Clark.

La fonte principale della serie è proprio l’autobiografia del signor Olofsson, oggi arzillo quasi ottantenne che ha pagato i suoi debiti con la giustizia svedese: un mitomane diventato mito. Siccome in pratica è lui che se la racconta, inutile chiedersi quanto c’è di vero e quanto di romanzato, e del resto lo stesso telefilm ha un cartrello all’inzio che dice “Basato sulla storia vera e sulle bugie di Clark Olofsson”. Ma l’importante, come si dice in questi casi, è che la storia sia buona.