
L’anno è finito e per me è stato un anno pieno di animali inaspettati. Ho dedicato un terzo della mia vita ai lupi, e se calcolo il tempo da quando iniziai l’università, nel lontano 2000, gliene ho dedicata metà. Mai avrei pensato, un anno fa esatto, che i lupi non sarebbero più stati i miei compagni di giochi. Un anno fa abitavo ancora tra le montagne e le mie giornate erano scandite da alba e tramonto, che segnavano lo spazio di tempo entro il quale muoversi in sicurezza in ambiente. Fuori dalla finestra arrivava spesso la neve e non passava mai nessuno.
Un anno fa esatto guardavo un tramonto infuocato stringendo tra le mani una tazza di tè con su dipinto un bel lupo e mi dicevo che sì, i lupi avrebbero dovuto davvero seguirmi in nuovi luoghi, perché lassù, tra le montagne, io non ci volevo più stare. Guardavo il sole scendere tra le cime del Monte Cavalbianco, mentre al telefono con me, in diretta, il mio fidanzato lo guardava sorgere tra le colline di un deserto della California. La metà di dicembre deve avere per me un qualche significato esoterico perché segna sempre un passaggio, una presa di consapevolezza, un avvenimento.
Due anni fa, dopo un invito del tutto inaspettato, partecipavo a Nemo, la trasmissione di Rai2, con un monologo sul lupo. Quel monologo non solo mi ha portato fortuna, ma è sbocciato come un fiore dal mio stomaco, dove ribolliva il desiderio di raccontare la natura in modo meno convenzionale a più persone di quante ne potessi raggiungere attraverso conferenze e seminari. Mi dicevo: se riesco a raccontare il lupo a più persone, se riesco a raccontare a tutta la gente là fuori perché è importante preservare i lupi per le generazioni future, allora tutto questo sacrificio tra le montagne avrà avuto un senso.
Un anno dopo, sempre a metà dicembre, consegnavo a Mondadori la bozza definitiva del mio libro sui lupi. Nel libro lascio i lupi in Europa, sulle rive di questo continente che amo, per salpare verso una nuova vita. E oggi eccomi qui. Metà dicembre. Vivo a Milano, che non è abbastanza lontana dalle montagne perché i lupi non continuino a inseguirmi. Sto ancora aspettando di salpare, e le opzioni si sono moltiplicate per numero e distanza. Racconto ancora di loro a seminari e conferenze, e anche questa settimana sono ospite in Rai. Ma nella mia foresta ormai immaginaria non cammino più accompagnata solo dai lupi, le temibili creature che nessuno vorrebbe accanto. Strada facendo, spostando un ramo o un sasso o un ciuffo d’erba, alzando lo sguardo o immergendo la testa nell’acqua, ho scoperto quanta vita ci sia ancora, oltre il lupo e le montagne.
Ho visto le sterne artiche fuggire via come frecce scagliate nel cielo gelato dell’artico, e rimbalzare tra i poli, compiendo migrazioni di decine di migliaia di km per tutta la vita. Ho visto l’ultimo rinoceronte di Sumatra della Malaysia addormentarsi per l’ultima volta, gli occhi piccoli che si guardavano intorno, a salutare questo pianeta incapace di salvarlo. Ho osservato i ratti gioire dei progressi dell’uomo, muovendosi agili nei nostri ecosistemi urbani, mentre centinaia di altre specie animali sobbalzavano all’arrivo stridente del tram e correvano a nascondersi in qualche anfratto tra il cemento e le siepi, fino all’orario giusto. L’orario in cui l’uomo lascia spazio all’altra vita. E poi ho visto una piccola meraviglia di quella vita, un pettirosso in Piazza Duomo, a Milano. Così piccolo e così tenace, e sveglio, e combattivo, e scaltro, da essersi stabilito tra i palmizi artificiali. Ultimo baluardo di una natura confusa ma resistente, spesso fuori luogo, come il lupo che nuotava nel Naviglio grande.
Ho sentito odore di acqua di mare, e ho scoperto una famiglia di orche arrivata nel Porto di Genova dall’Islanda con una madre che piange il suo piccolo. Ho sperato che avessero un nome e ce l’hanno, così la loro storia avrà molta più forza: si chiamano Riptide, SN114, Aquamarin e Dropi. Insieme a loro ho visto nuotare le tartarughe che vengono a deporre le uova sempre più a nord e poi, alzando lo sguardo da quelle spiagge, ho rivisto un orso bruno marsicano camminare lento sul crinale di una montagna abruzzese. Lo sguardo interrogativo. “Eppure non vivo su un’isola in mezzo all’oceano, perché non riesco a varcare i confini di questo parco e a salvarmi dall’estinzione?”. Camminando nella mia foresta immaginaria i cervi mi hanno tagliato la strada più volte e spesso sono stata ad un passo dal calpestare la piccola Salamandra d’Aurora.
Cara piccola salamandra, a differenza di un numero esorbitante di specie che non vedranno l’alba del 2020, tu per ora ce l’hai fatta. Ora stai sicuramente dormendo e le mie parole non ti arriveranno. Magari stai sognando un ragazzo dai capelli rossi. Spero cara Aurora che, nonostante sia fallito l’ennesimo summit internazionale per il clima, nell’indifferenza più totale della catastrofe ambientale in corso, il nostro Paese sia diverso. Che si accorga di te, che si accorga della vita che c’è guardando bene. Che sia un Paese solidale con la natura e con le persone, perché la salvaguardia della natura rimane un lusso se gli uomini devono lottare per vivere.
Mi auguro che il 2020 sia un anno di vita, per tutti.
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