Si fa presto a dire lockdown, anche se credo che una rilettura di C’è crisi, celeberrimo pezzo di Bugo, il cantautore veneto Davide Vettori l’avrebbe fatta lo stesso. Sì, è nata quasi per caso durante il periodo di blocco totale relegati in casa, sembra un titolo scelto non a caso, ma alla fin fine si iscrive perfettamente nella poetica di Vettori, che l’ha fatta letteralmente sua.
Ironia, ritmo, elettronica, parole attualissime per un pezzo che è bello ascoltare guardando queste immagini pixellate frammentate, distorte. Poche parole, ma confusamente chiare, come questo 2020 che stiamo vivendo. Surreale come un film di Buńuel.
La canzone e il video sono stati un pretesto per parlare con Davide Vettori dell’indie di oggi.
Come è nata questa rilettura di Bugo?
Durante il lockdown ho realizzato un live-streaming dalla mia stanza della musica, in collaborazione con SISMA Mvmnt (collettivo artistico e di etichette indie). Sono ancora abbastanza scettico sui live streaming, quindi cerco di affrontarli in maniera propositiva: cambiando di volta in volta la scaletta, mescolando canzoni datate ad altre più recenti.
Mi è venuta l’idea di realizzare questa canzone alla mia maniera, e in effetti la prima dal vivo aveva sonorità e produzione diversa, molto più minimale, dritta, appunto ‘dal vivo’, senza tanti fronzoli.
Da questa versione, insieme al mio produttore artistico Andrea Bertolini (Motel Connection, Mangaboo, Antenna…), abbiamo voluto svilupparla e renderla più solida, come se fosse una ‘normale’ canzone di Vettori
Perché questo pezzo?
La canzone originale è datata (2008), ma il tema è sempre attuale: che sia Crisi economica, sanitaria, personale, purtroppo – almeno per una certa fascia di persone – la crisi è sempre in agguato, è sempre un fatto del presente.
Ho voluto rileggerla inizialmente perché la conoscevo a memoria e mi trovavo a canticchiarla, sempre più spesso e sempre più convinto, come se l’avessi scritta di mio pugno.
Poi perché è un brano ironico ma serio allo stesso momento, e penso possa essere interessante per riflettere a proposito della “crisi”: se subirla oppure utilizzarla per trarne qualcosa.
Pensandoci bene, è quello che è accaduto a molti di noi durante il lockdown: chi l’ha vissuto come una mancanza d’aria, chi invece come l’opportunità per rilanciarsi (in casa, in cucina, nella creatività, in un nuovo modo di lavorare…)
Come e da chi è stato realizzato il video?
L’ho realizzato io stesso, come anche l’ultimo singolo ‘Perché si fa la guerra?’.
Su questo ho voluto fare qualcosa di minimale e ‘concettuale’: crisi può essere qualcosa di eclatante oppure minuscolo, può essere una micro o una macro variazione delle condizioni abituali.
Nel videoclip ho cercato di sintetizzare questa idea, e così ci sono tre video sormontati, della stessa persona che canta la stessa canzone, ma inevitabilmente la situazione non è identica.
Racchiude minuscole variazioni tra i quadrati, che a loro volta sono un insieme di quadrati più piccoli (i pixels) ed anche deformazioni, distorsioni e interventi più palesi.
È “solo” un singolo? … oppure c’è in vista un nuovo disco?
Attualmente è “solo un singolo”, e ricollegandomi alla domanda precedente, confesso che la maniera di lavoro e di approccio mi piace: puoi focalizzare tutte le energie su un solo racconto, così da creare un vestito a 360°, curando in prima persona la parte visiva, la copertina, ed anche il videoclip.
Rimane comunque un filo conduttore tra gli ultimi due brani e quelli che sto scrivendo in questo periodo, così che per il futuro mai dire mai. Preferisco però lavorare al contrario, cioè mettere in linea un po’ di canzoni, e piuttosto quando sarà il momento fare un disco, un po’ come funzionava negli anni 60 con i singoli 45 giri.
Come se la passa la musica indie ora?
La domanda del secolo!! Sai che non ne ho idea?
Però potrei lanciare un paio di riflessioni: prima del lockdown, il problema era quello che ai concerti “indie” c’era pubblico limitato, mentre alcuni nomi facevano da padroni e con i relativi sold-out di streaming e live. Quindi tutti a lamentarsi che i locali non ce la facevano a chiamare bands indie per i costi e il rapporto sbilanciato domanda del pubblico – offerta artistica.
Ora dal lockdown è iniziata la battaglia “salviamo la musica”, come se il problema fosse nato solo a marzo-aprile 2020.
Tralasciando questi problemi, però io vedo che c’è fermento, ovunque: sia nel mio territorio, dove conosco e frequento molte persone che suonano e che comunque seguono in maniera attiva il panorama artistico-culturale, sia in altre città.
Sarà anche il post-lockdown, dove ora se c’è un evento, ci è mancato così tanto che accorriamo, ma devo ammettere che (non sono grandi numeri a livello di pubblico) c’è voglia di concerti, così come di mostre d’arte, di cinema all’aperto, di reading, di serate culturali, di eventi dal vero.
Quindi, a pelo sulla superficie d’acqua (e purtroppo sempre col naso sott’acqua per quello che riguarda salari, rimborsi spese etc.), ma c’è un mondo che vive e continua a farlo.
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