L’intervista a Demetrio Albertini!

di Irma Ciccarelli

Le Smemo Interviste
L’intervista a Demetrio Albertini!

“Con grande piacere, saluto i lettori di  Smemoranda! Anche io avevo il mio diario Smemoranda, era un’icona, quando andavo a scuola. Pensare di aver partecipato adesso a questa intervista con voi e poter condividere alcune cose con tutti i lettori è un grande onore per me. Ciao a tutti”

Con queste parole, inizia la nostra intervista ad uno dei calciatori più amati del Milan: Demetrio Albertini! 

Esatto, ragazzi, abbiamo fatto due chiacchiere con lui in occasione dell’uscita del suo libro “Ti racconto i Campioni del Milan”, dove potrete trovare moltissime curiosità, aneddoti da spogliatoio e soprattutto la storia di un grande Club raccontato con gli occhi di chi l’ha vissuto con grande passione.

Demetrio Albertini: l’intervista

Ed eccoci con Demetrio Albertini in occasione dell’uscita del suo libro “Ti racconto i campioni del Milan”. Cosa ti ha portato a scriverlo?

Prima di tutto, c’è stato il pensiero di immaginare un genitore, magari milanista, che vuole raccontare quelle che sono state le figure chiave, i grandi campioni della storia del Milan (Con alcuni ho avuto l’onore di giocarci). È un libro figurativo, molto bello, con degli aneddoti, anche retroscena fuori dal campo di calcio, quindi  il protagonista coglie  la possibilità di poter gioire di quei momenti con il proprio figlio, sperando che sia milanista anche lui!

Di questo rapporto tra padre e figlio ne parli fin da subito con la bellissima dedica a tuo padre: “Mi ha sempre assecondato senza illudermi, ma aiutandomi a costruire la mia consapevolezza”. Partendo da questa frase, quali sono i consigli da dare ad un giovane calciatore che vuole intraprendere questo percorso da professionista?

Pensavo al consiglio ai genitori, prima di tutto! Il messaggio è proprio quello del mio papà: assecondare il desiderio di un ragazzo che intraprende il gioco del calcio, ma vale per qualsiasi sport. La cosa più importante è quella di  poterlo metterlo nelle condizioni migliori, di poter costruire il proprio futuro che può essere anche solo quello di rimanere  con i propri amici e godere dei momenti dello sport, o confrontarsi con degli avversari su un campo importante.

Io ho avuto la fortuna  di aver valorizzato il mio talento, lavorando e meritandomela sul campo, quindi ad un ragazzo gli dico che è tanto bello sognare di diventare un Campione, di alzare una Coppa, o di finire sulle figurine Panini: il sogno mi ha permesso di poter vivere al meglio quello che poi dopo è diventata una professione.

In questo libro vengono descritti 50 campioni. Come hai fatto questa selezione?

Cinquanta è veramente un numero riduttivo ed è stato molto difficile perchè ne avrei voluto inserire molti di più! Credo che tutti abbiano contribuito alla storia di questo grande Club, però lo spazio era quello. Come li ho selezionati ? Prima di tutto, inserendo chi poteva raccontarmi la storia del Milan e quegli anni in cui non ero presente, secondo, con chi ho avuto un rapporto speciale, ciò non significa che non avessi compreso persone con cui non ci fosse, anzi, ci sono giocatori con cui non ho mai giocato. Mi sembra giusto poter rendere il lettore partecipe delle testimonianze di qualche calciatore più vicino a loro che a me.

C’è stato qualche giocatore che non era proprio sotto i riflettori, che ha contribuito a rendere grande il Milan? 

Quando fai il calciatore sei sempre sotto i riflettori, quindi tutto è relativo! Ce ne sono diversi, alla fine non sono riuscito a descrivere le geste di giocatori come Ragno, come Ganz, come Nava, che è stato il mio compagno di camera, Lentini, ma ce ne sono veramente tanti che hanno segnato la storia del Milan. Ho voluto scrivere di quell’asso di tempo in cui il Milan era una squadra vincente, lo è stato anche negli anni successivi, però ho cercato di individuare quei giocatori a cui ho potuto dedicare una pagina, raccontando tutte le cose belle che ogni calciatore ha dato a questa squadra.

Invece, quali sono stati gli “avversari” che avrebbero potuto amalgamarsi con il Milan, sia per aspetti tecnici che caratteriali?

Ho affrontato tanti tanti campioni che dopo sono anche arrivati nella squadra rossonera. Per quanto riguarda caratterialmente, credo che tutto è contagioso, quindi, anche qualcuno magari non in linea con la filosofia del Milan, alla fine si è adeguato come accade in qualsiasi gruppo lavorativo, di amicizie. Quando parlo di valori che mi hanno segnato e mi hanno trasferito tutte le persone che hanno lavorato al Milan, che mi hanno visto crescere, alla fine tanti calciatori avrebbero potuto essere in questa grandissima squadra.

Ce ne sono veramente tanti, ma partirei da quelli che mi hanno fatto più soffrire come Zidane, che me lo trovavo sempre alle spalle e, se avesse indossato la maglia rossonera, non mi sarebbe dispiaciuto, oppure Francesco Totti, un grandissimo calciatore, un’icona del nostro calcio, poteva assolutamente essere tra quei giocatori che hanno segnato la storia del Milan. In quegli anni,  tanti calciatori avrebbero voluto giocare in quella squadra vincente.

demetrio albertini ti racconto i campioni del milan

Nel tuo libro descrivi i calciatori  anche come degli idoli per i ragazzi. Secondo te, chi sono oggi chi i giocatori che possono essere considerati un po’ degli eroi e per quale motivo?

Il mondo è cambiato tantissimo, non è cambiato il calcio! La mediaticità del calciatore è diventata parte integrante della nostra società, quindi ci sono tanti giocatori che in questo momento potrebbero essere idoli, un po’ più trasversali, forse, perché con i social non lo diventi  solo per la tua squadra, ma semplicemente di questo sport. Pensiamo anche solo come a come la televisione ha unito alle distanze dando notizia di campionati stranieri, come quello inglese, spagnolo o tedesco. Sono cambiate tante cose nella nostra società, quindi anche i “parametri” degli idoli dei giovani di oggi.

Quindi, che differenza c’è tra i “parametri” della tua età e quelli di oggi?

Oggi si è spettacolarizzato un po’ tutto mentre quando ero bambino, quando cominciai a giocare, era molto complicato vedere la partita di un campionato straniero, cosa che invece i ragazzi di oggi fanno tantissimo. Si accorciano le distanze e anche se non sei tifoso del Barcellona, per parlare di Messi, o non sei tifoso di Lewandowski, per parlare del campionato tedesco, o di Guardiola, per parlare del campionato inglese, sembrano ormai parte del nostro sistema calcio, proprio perché la Champions League ha unito tutte queste figure che magari non sono propriamente i tuoi idoli della tua squadra del cuore, ma lo diventano al di là della maglia.

Nel tuo libro affermi: “Il calcio è maestro di vita, è un percorso che ti forma come atleta, ma anche come uomo”. È ancora così? Con riferimento dichiarazioni appena sostenute.

Il calcio è stato e sarà sempre un maestro di vita. Se dovessi dare un consiglio ad un ragazzo, partendo dai miei figli, è di poter praticare qualsiasi sport agonistico perché ti aiuta ad affrontare gli esami della vita, che  possono essere le partite, le gare, i match, e di poter sognare e realizzarsi in qualcosa che insegna la meritocrazia e quando questa scende in campo, vince! Anche se i tempi sono cambiati, è cambiato il modo di vivere quello che è la popolarità: si vive molto sui social che hanno accorciato le distanze con i tifosi, però hanno tolto un po’ la poesia di andare allo stadio per vedere il proprio idolo giocare e competere contro gli avversari. Ormai, si sa tutto di tutti, quindi con la velocità con cui diventi popolare oggi, se non ti alleni nel modo giusto, la perdi velocemente.

C’è stato un capitolo, o parte del libro, che hai avuto difficoltà a scrivere a livello emotivo?

Ho avuto difficoltà a scrivere alcuni capitoli perché erano troppo poche le pagine e trasferire le emozioni con la scrittura è molto difficile, mentre è facile scendere in campo e riuscire a gioire e condividerle con i propri compagni. Di certo mi ha emozionato molto scrivere le pagine della mia partita d’addio: la sintesi di questo libro.

Rivivere quel momento è stato emotivamente molto bello, pur parlando di un addio e sembra una cosa strana, però, ho rivissuto tutto quello che è stata la preparazione, lo stare in campo, un rivedersi dopo tanto tempo con diversi campioni, avere l’onore di essere la partita il trade union tra un Milan vincente a un altro Milan.

Organizzare una partita d’addio in Italia non è mai semplice perché non sai mai qual è il messaggio da poter dare e, con grande umiltà, ho pensato e sperato di poter fare una festa per i milanisti e, rivedere VanBasten in campo per tutta quella generazione che ha tifato il Milan e il VanBasten del Pallone d’Oro, è stato molto emozionante. Quando scrivevo questo momento, e parlarne anche ora, mi emoziona ancora tanto.

Cosa credi e speri di aver lasciato ai suoi tifosi?

Di aver raccontato qualcosa in più di me, di quello che sono,  penso, spero, di aver lasciato questo: la generosità di essermi aperto ancora di più, raccontando “segreti”, aneddoti carini di quello che ho vissuto nello spogliatoio, rendendo partecipe i lettori di come si vive uno spogliatoio, di cosa vuol dire vivere dietro le quinte, cosa si fa in un gruppo, che è poi la stessa cosa che si faceva all’oratorio quando ho iniziato.

C’è qualche giocatore un po’ più giovane in cui ti riconosci o vedi tanto di te stesso? E cosa gli consiglieresti?

Sono un po’ restio ai paragoni perché tutti i centrocampisti centrali pensano sempre: “Lì giocavo io, adesso lui potrebbe avere la mia l’eredità e degli altri che sono venuti dopo di me”. Quindi, mettere delle etichette, che sono difficile da togliersi, facendo un paragone con un giocatore che ha già lasciato il segno  è difficile perchè si dovrebbero ricreare le stesse condizioni.

Inoltre, ho un po’ d’invidia nei loro confronti perché possono scrivere ancora la storia sia di questo club che la loro, quindi il mio augurio è quello di potere essere all’altezza della maglia, che non è Demetrio Albertini perchè ho vissuto una parte di quella che è la storia di questo club.

Se dovessi farti un nome, c’è un giocatore da cui mi aspetto tanto ed è Tonali che è stato appena preso dal Milan: ha delle caratteristiche molto simili, evolute, perché il calcio adesso è cambiato. Mi auguro e gli auguro di poter scrivere delle pagine importanti di questo club.

Facendo riferimento alle attuali circostanze, come avresti gestito la situazione emergenza sanitaria?  

Penso sia difficile poter decidere in questa situazione, però posso sostenere che forse si è perso un po’ di tempo: dal lockdown ad oggi sono state fatte meno prevenzioni di quelle che si sarebbero dovute o potevano fare.

Stiamo vivendo un momento veramente drammatico, forse è una parola un po’ catastrofica, però penso molto ai miei figli e a ciò che sono costretti a vivere, alla loro età, a causa di queste restrizioni.

Sicuramente, anche a livello economico stiamo vivendo un dei più grandi momenti di difficoltà, come anche nel mondo del calcio: vediamo tante società dilettantistiche in crisi, non sono le sole, penso ai ragazzi che per tanti mesi non hanno potuto praticare lo sport e che non possono praticare sport, penso alla scuola! Poteva essere affrontato in una maniera diversa, non so come, perché non spetta a me, ma credo sia importante fare squadra perché in questo momento la priorità è la salute di  tutti noi.

Cosa ti auguri per il calcio?

Prima di tutto, spero si possano riaprire gli stadi, pieni di  gente, perché vorrebbe dire che ci siamo messi alle spalle questo momento. Spero che lo stadio ritorni ad essere quel posto dove si possono condividere le emozioni per il risultato della prestazione, del gesto tecnico: vorrebbe dire che saremo tornate alla normalità.