
È lì che vorresti essere e lì, che alla fine, vai.
E un po’ rimani.
È lì che, ad un certo punto, quando smetti di fare a gara per un posto, che sia il migliore possibile e tuo, quando dimentichi le ore passate con il sole puntato addosso, e dimentichi le zanzare, la fame, la sete, la strada, la vita… è lì che, ad un certo punto, appunto, in quel preciso pezzo di quella precisa canzone succede, a tutti e ad ognuno a modo suo, che tu alzi le braccia al cielo, così, col sangue caldo che ti scorre dalla punta delle dita, scivola alla punta dello stomaco e pulsa nelle tue gambe. Sollevi la testa e guardi il cielo e tutte le stelle che riesci a vedere, belle e ballerine. La Luna. Poi li chiudi, gli occhi, che quello è il tuo momento. Di quello che ti sta al fianco, del primo della fila, dell’ultimo della combriccola. Li chiudi e sai. Quella è la canzone che parla di te, accidenti. La tua canzone. Lì, tra trecentomila gambe che saltano, e che tremano, tra quel numero sconsiderato di valigie che ognuno si porta dietro, e dentro, suona la canzone che parla di te. Per te.
Come te le spieghi, te, con le tue paure e tutte le tue incazzature, il caratteraccio, le tue strane idee sulla vita, le indecisioni, il cinismo, che in quel momento, braccia al cielo e occhi chiusi, quello là, sul palco, canta per te,e per tutti, e per lui, e te lo dice, che infondo, vai bene così come sei. Perché no? Benissimo.
E bellissimo.
Poi, le abbassi, le tue braccia sottili e fragili. Gli occhi li riapri e ti guardi intorno. Guardi il parco, o ciò che riesci a scorgere, guardi le braccia degli altri che si allungano, per il loro momento, vedi le facce.
MA VOI, IL BOATO DELLE NOSTRE VOCI CHE FACEVA VIBRARE UN AEROPORTO, L’AVETE SENTITO?
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