16 dischi per scaldare l’inverno

di L'Alligatore

News - Recensioni

Ascendente de La Metralli è il disco dell’anno. Dico questo senza perifrasi, giri di parole, andando subito al punto. Perché lo sento utile e necessario, nei suoni, analogici, quanto nelle parole. Parole per celebrare, giustamente, Mimmo Lucano da Riace con “Il sindaco”, canzone che apre correttamente il disco, o a denunciare un fascismo mai morto in “Nero”, parlare del coraggio e delle violenze a chi manifesta in, appunto, “Manifesta”. Un disco semplice e diretto e orgogliosamente politico, come si può capire dalle mie parole, ma non un comizio. Nelle dieci canzoni si sente un disagio, una voglia di gridare, autentica. Tra cori suggestivi (anche quello delle Mondine di Novi nel pezzo finale), chitarre, archi, pianoforte, e la bella voce di Meike Clarelli, cresce un sentimento popolare.

Rock massiccio quello dei torinesi Swörn all’esordio con questo omonimo disco supportato da un bel po’ di label, con al centro il Collettivo Dotto da loro stessi creato. Stoner – Desert – Rock – Psych, e via di questo passo, etichette per definire la loro musica. Molto semplicemente direi alternative-rock da ascoltare a palla, lungo le sei canzoni dell’album, con un repeat alla fine. Mezz’ora che si dilata tra un ritmo ipnotico, certi momenti psichedelici e una certa durezza di fondo. Molto in linea con la loro musica anche la copertina disegnata da STRX: un triceratopo in un paesaggio desertico e lunare. Anche su cassetta.

Geniale folletto dai capelli lunghi e la barba rossa, DEUT, al secolo Giuseppe Vitale, già voce degli U BIT, mi ha conquistato con questo ep fatto di sole cinque magiche canzoni. Un folk elettroacustico di grande pathos, fatto di cose davvero semplici: una voce ispirata, chitarra, giochetti di fine elettronica. L’ep s’intitola The Running Start, vale a dire Rincorsa, per dare il senso di una cosa in divenire, una cosa incompiuta. Infatti questo è il senso ultimo del magico dischetto, che lascia nelle orecchie ancora tanta voglia di ascoltare sue canzoni. L’unica soluzione è lasciarlo andare all’infinito …

Forti questi Lola & The Workaholics, Lola e i Maniaci del lavoro. Bel nome originale per questo gruppo con una cantante scatenata e sexy, all’esordio con Romance. Otto pezzi che lasciano il segno, cantati in diverse lingue (Lola ha una formazione internazionale), tra italiano, francese e inglese. Musica reggae con il violino in evidenza, oltre alla voce della ragazza, gran ritmo e magia dub alla Thievery Corporation, ottime idee in testa e buoni testi. La title-track, cantata in francese, è il pezzo che forse colpisce di più per l’atmosfera incandescente e il violino a darci dentro, ma non sono da meno “Curry Muffin” inno reggae per un’umanità nuova cantata con una voce nera, e l’originale versione del classicone “White Rabbit” in chiusura, che fa venire voglia subito di riascoltare tutto l’album.

Are You Real? è il nome completo (compreso il punto di domanda) di questo progetto sonoro di cantautorato folk made in Venezia, una vera e propria One Man Band. Songs From My Imaginary Youth parla di sogni e ricordi della giovinezza in nove canzoni più una bonus track, inserita per la copia fisica del disco. Infatti il lavoro era uscito un anno prima in formato digitale, ma quest’anno, il giorno di Halloween, ha avuto anche la sua versione su cd, con una bella copertina disegnata da Mara Cerri (Orecchio Acerbo, Internazionale, Il Manifesto, tra le sue collaborazioni). Un oggettino di culto che vale la pena sentire, tra violini, chitarre, una voce che non ti annoia mai, certe atmosfere alla “Edward Mani di forbice”, altre alla Leonard Cohen … grandi nomi per un progetto semplice, che mi è piaciuto molto. Tra le più interessanti e piacevoli novità di fine anno.

Interessante esordio quello dei Random Clockwork con Wires, disco che esce dopo circa dieci anni di attività per questa band di Isola Del Liri. Pop elettronico nostalgico, con una bella voce di donna, tastierine, giochini liberi e sofisticati, atmosfere dance molto anni ’80. Se vi piace giocare, mascherarvi e certe atmosfere filmiche, dai Goblin a Moroder, vi piacerà anche la loro musica. Come nel bel videoclip di Giorgio Gerardi per “Memento”, i Random Clockwork hanno uno spiccato gusto per il passato, dai vecchi vinili agli stereo polverosi, e sanno come affascinare. Dieci pezzi granitici con dei titoli che richiamano la natura e il cosmo, dieci pezzi per ballare e creare connessioni. “Wires” musica del futuro proveniente dal passato.

Le Winonas (come Winona Ryder) sono un terzetto femminile di Ravenna di autentico grunge sognante. Con Arborea sono alla loro seconda uscita ufficiale, dopo il buon esordio autoprodotto di “Sirene” del 2016. Un disco che le ha portate in giro e hanno portato in giro, tra centro e nord Italia, Germania, Svezia, Danimarca, suscitando consenso e acquisendo maturità. Ora propongono un pugno di cinque canzoni più la cover di “Senza un perché” di Nada, con naturalezza entusiasmante. Minimaliste della forma canzone, riscaldano i nostri cuori a ogni nota. I loro pezzi cantati senza enfasi in italiano, sembrano dei classici del cantautorato al primo ascolto, con in più un’anima grunge che conquista. Vogliamo altri dischi così dalle Winonas.

“Ti voglio urlare nasce dall’esigenza di esternare il nostro stato emotivo e usare la musica come valvola di sfogo. Amori, paranoie, relazioni e società trovano lo spazio che nella normalità di tutti i giorni non sempre riusciamo dare loro.” Così presentano il disco L’ultimodeimieicani (mi raccomando, scritto tutto attaccato), e io vi dico che è così. Rabbia giovane distillata in dieci pezzi tra l’ironico e il disincantato, provenienti dalla nuova scuola genovese del cantautorato pop-rock. Gran chitarre, gran ritmo, un po’ di malinconia e dei testi da mandare a memoria e gridare insieme alla band ai concerti. Non vi dico altro, solo di cercarli e ascoltarli. Per me, sono una delle più incredibili novità di fine 2019.

A Possible Scenario Of A Human Drift è il nuovo album degli En Declin, band romana che torna al disco dieci anni dopo l’ultima prova. Inedita formazione a tre, con chitarra/voce/batteria e programmazione elettronica, ma immutato spirito post-rock dal sapore umanista. Nove tracce originali, dilatate, dall’attitudine progressive, con numi tutelari quali i Massive Attack, i Puscifer e certi momenti Ryūichi Sakamoto, più la personale interpretazione di “Another Day In Paradise” di Phil Collins. Cantate in inglese (a parte due con un finale in lingua italiana), compongono un cd denso nei suoni e nelle parole. Un vero e proprio concept-album per i nostri tempi, che gli En Declin osano coraggiosamente proporre. Riuscirà l’uomo a liberarsi dai preconcetti, riconoscere a tutti gli stessi diritti e a vivere in una Terra con la piena integrazione tra i popoli? Solo lasciando da parte l’emotività, abbandonando la viltà e le deviazioni sociali. Questo l’endeclin-pensiero. Prendere o lasciare.

Continua, sempre intenso, elettrico e romantico il progetto di Novanta, alias Manfredi Lamartina, musicista palermitano a Milano ormai da molto, anche blogger e giornalista. Di lui avevo parlato anni fa, quando suonava con i Moque, e mi fa piacere ritrovarlo ora con un compagno di quella band, Agostino Financo Burgio alla batteria (nuovo effettivo di Novanta), per questo recente Some Are Star. Un ep composto da sole quattro algide canzoni, che però scaldano il cuore. Uscito con la bella etichetta Seashell Records, che ha il vizio di proporre la musica anche nel formato delle vecchie cassette. Provate a sentire questa, sono sicuro che cercherete anche tutte le altre. Musica davvero avvolgente.

The Lu Silver String Band, un nome forse non semplice da ricordare, per un rock’n’roll invece semplice e diretto, che omaggia i grandi del passato. Una voce bella e potente, chitarre, basso, batteria per dieci canzoni che vanno via lisce come l’olio. Rock’n’roll Is Here To Stay è il titolo, preso in prestito da una frase di Neil Young, alla quale i quattro romagnoli sembrano credere ciecamente. Musica piacevole da ascoltare, ancora di più dal vivo, a volumi belli alti. Dieci potenziali classici, che vi ricorderanno via via i Rolling Stones o i Creedence Clearwater Revival o Tom Petty, invece sono farina del sacco del buon Lu Silver e dei suoi pards. Energia positiva sotto forma di dieci pezzi di rock’n’roll.

È finalmente uscito Canzoni del mare salato, sentito omaggio di Gerardo Balestrieri al mondo di Corto Maltese a partire dalla sua prima apparizione, cioè “Una ballata del mare salato”, capolavoro a fumetti di Hugo Pratt ambientato nel 1913, che vi consiglio vivamente di leggere. Il disco si gusta, ovviamente, anche senza conoscere questa storia, affascinanti dalla voce cantautorale del Balestrieri, che narra di guerre e rivoluzioni, prostitute affascinanti e banditi, marinai in avventure in giro per il mondo, Venezia. E così è la musica, speziata, tra suggestioni arabe o orientaleggianti, ballate irlandesi, classici da cantautori, con una trentina di musicisti coinvolti da ogni parte del mondo. Un vero e proprio concept-album, come non se ne fanno più, dedicato a dieci anni di storie del marinaio libertario per eccellenza del mondo delle nuvole parlanti.

Escoriazioni, come le ustioni chimiche da carburante, causate da un mix di benzina e acqua marina, che inzuppano i vestiti dei migranti durante la traversata nei barconi dall’Africa verso l’Europa. È il primo album di L’Omino e i suoi Palmipedoni, nome particolare che si è scelto il giovane cantautore palermitano Riccardo Pusateri. Un progetto interessante, pop-rock-folk dichiaratamente impegnato, che si presenta ottimamente con questo album ispirato dalla visione del capolavoro di Gianfranco Rosi “Fuocoammare”. Nove pezzi crudi, semplici e diretti a raccontare senza pietismi il dramma dell’immigrazione. Tra l’ironia di un Enzo Jannacci e l’umanità di un De André, si snoda questo concept: i viaggi della speranza, il mare visto dalle due sponde, il razzismo e le nascite in mare, e poi quell’omino nero che esce da una caffettiera in ebollizione sulla copertina, perfetta raffigurazione delle canzoni in esso contenute.

Nome della band, The Manifesto e titolo dell’album, Maximilien, che sono tutto un programma e che me li ha resi subito simpatici. Sono tre ragazzi di Ravenna, provenienti da altre band, che si sono ritrovati insieme per questo nuovo progetto: Massimiliano Gardini (Yesterday Will Be Great, ex Kisses From Mars) alla chitarra e voce, Michele Morandi (ex Brazil), voce e basso, e Stefano Bombardini, batteria (ex Postvorta). L’album è dedicato a Maximilien Robespierre e alla Rivoluzione. Il loro alternative-rock piacevole non ha mai una battuta di arresto, procede inesorabile canzone dopo canzone. Sarà anche il fatto che c’è un alternarsi nel cantato, i ritmi sono sostenuti e la chitarra sempre presente. Un misto di grunge e Doors, Stooges, MC5 e vitalità romagnola. Esplosioni dilatate.

Tornano i Portfolio con il loro pop soave, dalle venature soul e dance, senza dimenticare il rock e l’elettronica. Tornano con un disco sbarazzino, ben curato e cantato in italiano dall’ironico titolo di Stefi Wonder. Stefi sta per Stefano, il loro vecchio batterista, che aveva una voce soul da ricordare il buon vecchio Stevie Wonder. Da qui l’ironico titolo, che è anche quello del pezzo che apre l’album, un soul ballabile cantato in italiano, con tastiere e trombe in evidenza, che ci accompagneranno per quasi tutto il disco. Un album diretto e soave, con otto canzoni che vanno dritte al punto. A produrre la sofisticata Irma Records di Bologna, garanzia di suoni ballabili belli, provenienti dal miglior indie italico. Per ballare con gusto tutto l’anno.

Alessio Lega è un cantautore atipico, capace di fare sempre cose nuove, pur mantenendo una linea immutabile. Quest’anno ha vinto l’ennesimo Tenco con questo disco anticommerciale al massimo, Nella corte dell’Arbat, Le canzoni di Bulat Okudžava. Sono venti canzoni di un grande cantore russo, che Alessio ha tradotto poeticamente in italiano dal francese. Una dotta operazione culturale, che ricorda quelle di alcuni grandi (pensiamo a De André), con in più la scelta di un russo dissidente libertario, come lo stesso Alessio Lega. Accanto a lui fidati musicanti di sempre, spesso accanto a lui nei molti concerti nei luoghi più disparati, da feste di partito a teatri, strade, piazze … Guido Baldoni, Rocco Rossignoli, Rocco Marchi (anche produttore artistico), Roberto Passuti (fonico). Curato nei minimi dettagli, con libretto grasso e ricco, come sempre per i dischi delle edizioni Squi[libri], che ha mandato in stampa anche la bio di Okudžava.