
“Fino al maggio del 2009 lo Sri Lanka era il centro delle notizie in tutto il mondo per via dei combattimenti. Poi per la prima volta nella loro vita, quelli nati negli anni ‘80 e ‘90 hanno vissuto un giorno senza bombardamenti e spargimenti di sangue. Molte persone che avrebbero potuto morire ogni giorno, ora si trovano a fare i conti con la lotta quotidiana di guadagnarsi da vivere.”
Nello Sri Lanka del dopo conflitto la paura resta, anche nel nord oggi finalmente unito. Accompagna ogni passo, non solo in senso figurato: numerose mine anti-uomo riposano sotto il terreno, e i giornali non mancano di riportare ogni giorno come il governo sia incapace di effettuare operazioni di bonifica in tempi rapidi.
Numerosi edifici sono ancora così come li ha lasciati la guerra: distrutti. Tante sono le persone che non sono ancora in grado di godere anche dal punto di vista economico dei benefici della pace.
“Nonostante tutte le avversità i giovani dello Sri Lanka si trovano adesso a passare dalla condizione di bambini soldato e kamikaze a costruire la loro nuova vita con grande pazienza. Questi giovani uomini e donne hanno ormai capito che le persone che vivono al di fuori della zona di conflitto non sono mostri come è stato insegnato loro per anni dai politici. Adesso hanno finalmente capito che tutte le persone hanno gli stessi problemi in materia di istruzione, salute, occupazione”.
“Facilitare la transizione è la sfida più difficile. Per aiutare questi giovani dovrebbero essere create delle occasioni di confronto e di espressione pacifica sulle idee politiche. Lo Sri Lanka deve capire che i giovani del nord che sono stati i più colpiti dal conflitto, lungo e sanguinoso, hanno ancora difficoltà ad adattarsi ad una nazione pacifica. La creazione di occasioni di confronto può ridurre la loro esposizione alle vulnerabilità, e può essere parte fondamentale della riconciliazione nazionale”.
“Questo non dovrebbe essere compreso solo da parte delle autorità governative, ma anche dalla società civile stessa, perché è proprio la società civile che avrà il ruolo più importante nell’indirizzare i giovani più colpiti ad una nuova vita pacifica. Lo Sri Lanka ha molta strada da fare. Ne ha fatta tanta, tanta ne resta. Una sfida impegnativa ma piena di speranza per il futuro”.
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