Una notte a Los Angeles alla fine degli anni Settanta. Una notte che non è come tutte le altre, perché è la notte delle stelle.
9 aprile 1979, Dorothy Chandler Pavillion, il luogo che ha ospitato la cerimonia della consegna degli Oscar per quasi trent’anni ininterrotti. Sarà la notte del trionfo del grande Michael Cimino e del suo film più famoso, Il cacciatore. Ma i premi più importanti assegnati quella notte saranno due premi considerati minori: quelli musicali, miglior canzone originale e miglior colonna sonora. Due premi che guardavano rispettivamente verso il passato e verso il futuro della musica, in quell’anno di passaggio, un vero e proprio spartiacque tra due momenti storici e culturali. La miglior canzone fu Hopelessely devoted to you, tratta da Grease, che riportava tutti al passato, al mito degli anni Cinquanta. A vincere il premio per la miglior colonna sonora originale, invece, secondo tutti doveva essere John Williams, che per il film dedicato a Superman aveva tirato fuori uno dei suoi temoni più famosi. Oppure al massimo avrebbe dovuto vincere Ennio Morricone, per I giorni del cielo di Terrence Malick. E invece, tra i due litiganti, a portarsi a casa il premio, giustamente, fu l’uomo che stava costruendo il futuro della musica.
Vinse Giorgio Moroder per Fuga di mezzanotte, enorme cult della storia del cinema hollywoodiano e punto di svolta per l’idea stessa di colonna sonora. Perché dimostrò che anche con l’elettronica si poteva arrivare all’Oscar, cioè il massimo del mainstream.
Un mito, non una star
Quando Moroder si alza per andare a ritirare il premio dalle mani di Dean Martin, si alza da una poltrona un po’ indietro nella sala, perché certo non è una star da prime file, e sembra davvero un alieno, con i suoi quarant’anni portati mica tanto bene, gli occhiali da sole di notte e i baffoni enormi da pornoattore d’epoca a incorniciare la faccia. Non sembra una star, no: forse hanno fatto bene a farlo sedere indietro… come ai ricevimenti dei matrimoni, no? Gli ospiti più imbarazzanti cerchi di piazzarli ai tavoli un po’ più defilati. Eppure a pensarci bene Giorgio non era lo zio imbarazzante, era probabilmente il premio più importante assegnato in quella serata, in termini di impatto culturale e di storia. Giorgio Moroder sarebbe diventato un ospite fisso delle cerimonie di premiazione più importanti dello spettacolo americano, e oggi sul caminetto di casa ha tre Oscar e quattro Grammy Awards.
Quando ha ritirato l’ultimo era sul palco con i Daft Punk e Pharrell Williams, nel 2013, a 73 anni, come autore ospite di Random Access Memories. E anche in quel caso sembrava un po’ fuori posto vicino a quelli che come Pharrell, appaiono anche esternamente delle vere superstar della musica. Eppure la musica che veniva premiata quella sera era proprio la sua, anche se tecnicamente veniva da due francesi vestiti da robot, che avevano poggiato le mani sui sintetizzatori per la prima volta almeno vent’anni dopo di lui.
Nell’introduzione di Giorgio by Moroder, la canzone dei Daft Punk che celebra Giorgio – dieci minuti di suite elettronica che incorpora pezzi di jazz, classica, rock e altri dieci sottogeneri – c’è già tutto. Una storia che sembra un film e che finisce nei film, la storia delle vita di Giorgio Moroder.
Giorgio Moroder, da Ortisei a Hollywood
La prima scena è ambientata a Ortisei, un paese di cinquemila anime in territorio italiano, ma Alto Adige, quasi Austria, e in linea d’aria più vicino a Monaco di Baviera che a Milano. Un paese famoso per lo sci, per i paesaggi, per gli intagliatori in legno. Insomma, va bene se sei un ragazzo e vuoi fare presepi, un po’ meno se vuoi diventare una rockstar.
Giorgio ha 19 anni, nel 1959, e ascolta Radio Luxembourg, che dal Lussemburgo riusciva a spingere le sue onde in mezza Europa, e passava musica per quei tempi rivoluzionaria. Giorgio si era innamorato del nuovo pop del suo coetaneo Paul Anka, e aveva accettato l’invito di un suo amico che gli aveva proposto di unirsi al gruppo con cui si esibiva negli hotel della zona, per tirar su un po’ di soldi. E di concerti in quel periodo c’era una buona richiesta, quindi il gruppo funzionava. Però la vita del musicista offre al ragazzo un bel po’ di tempo libero. Così si compra un registratore e inizia a sperimentare: registra canzoni dalla radio, le manipola, le cuce insieme, e scopre che è bello fare il musicista, ma che anche essere un bravo tecnico potrebbe essergli utile.
Le serate di Giorgio a vent’anni, con la band, sono divertenti, si fanno due soldi e magari si trova anche qualche ragazza. Però, gli anni passsano, e anche se le cose con la band vanno bene i pomeriggi di attesa e lavoro sulla musica gli fanno capire che per diventare davvero un artista deve andare in una grande città. E tra Italia e Germania, la scelta cade sulla seconda: prima Berlino, poi Monaco. Qui farà i primi incontri capaci di cambiargli la vita. Compreso quello con la donna che sarebbe diventata la regina della disco music.
Rock tedesco e sintetizzatori
Nei primi anni Settanta, c’è un fondamentale cambio di location, nel film della vita di Giorgio Moroder. Interno giorno, ed ecco Moroder trentenne nel suo primo studio di registrazione, il Musicland, che è riuscito a mettere in piedi a Monaco di Baviera, nel quartiere di Bogenhausen, con i soldi guadagnati dai suoi primi lavori di autore, produttore e cantante in prima persona. L’imbarazzante singolo pop Looky looky, interpretato da lui stesso, e qualche pezzo del cosiddetto genere schlager, che è un modo per dire pop tedesco, tipo Arizona Man della cantante Mary Roos. Soprattutto però, avrà fortuna Son of my Father, che la band dei Chikory Tip porterà al primo posto delle classifiche inglesi, anche grazie alla collaborazione con il nuovo amico e socio londinese di Giorgio, Pete Bellotte, che sarebbe diventato il suo Robin per gli anni a venire. Intanto il suono del sintetizzatore diventava sempre più centrale nella ricerca musicale di Giorgio.
La nascita della musica dance
Ma l’incontro più importante sarebbe stato quello con una ragazza afroamericana dal nome quasi italiano, LaDonna. LaDonna Gaines si era trasferita in Germania da Boston, e cantava nella versione tedesca del musical Hair. A Monaco si era anche sposata con un austriaco, Helmut Sommer. Insomma, era diventata LaDonna Sommer.
Quando si presentò al provino allo studio Musicland, davanti a quel produttore che aveva bisogno di coriste per registrare qualche pezzo vocale, sembrava un segno del destino: lui mezzo italiano e mezzo tedesco, innamorato della musica in inglese e con il sogno di conquistare l’America. Lei americana mezza tedesca, col nome italian sounding. I due si piacquero subito. Lei arrivava in studio alle quattro del pomeriggio, ma poi chiacchierava per ore con Giorgio e Pete. Poi, prima di cena, guardava l’orologio e diceva: uh, che tardi, meglio sbrigarsi. Allora entrava nello studio, e in un quarto d’ora, venti minuti al massimo aveva fatto. Intanto Giorgio e Pete avevano capito che le loro brutte facce non sarebbero state un buon veicolo commerciale per una canzone. Meglio usare LaDonna. Che intanto, beh si era lasciata con Hans Sommer, ma tutto sommato non sarebbe stato male continuare a usare quel nome, no? Ovviamente, però all’americana. E quindi: Summer. In quelle sessioni stava nascendo la stella di Donna Summer. Che prima si presentò al pubblico internazionale con love to love you baby, canzone scandalo ispirata a Jane Birkin, e poi conquistò definitivamente quel pubblico insieme a Giorgio Moroder, con I feel love, nell’estate del 1977.
Esistono canzoni capaci di cambiare la musica. Canzoni che al di là di ogni considerazione sul valore artistico, al di là delle emozioni che possono muovere, che sono tutte valutazioni molto personali, ecco ci sono canzoni che oggettivamente sono state rivoluzionarie nella storia della musica. Si chiamano,ad esempio: She loves you, Rapper’s Delight, Concrete Jungle, Anarchy in the UK. I Feel Love è una di quelle canzoni. Giorgio Moroder era riuscito una volta per tutte a mettere insieme le gelide pulsazioni dell’elettronica europea e il calore dell’RnB americano. Questa è la canzone che fece dire agli Human League e ai Blondie, ok, d’ora in poi questa è la musica che vogliamo fare anche noi. Questo è il disco che Brian Eno corse a portare a David Bowie, mentre a Berlino i due stavano registrando Heroes, e gli disse, una roba tipo: “Niente, David, il suono del futuro è questo qui. Questo cambierà la musica dei prossimi 15 anni.” E aveva ragione, aveva solo sottovalutato un po’ i tempi. 43 anni dopo, I Feel love è ancora il suono del futuro.
Se vi piace la musica elettronica, e non importa se intendete come musica elettronica Sven Vath o Roisin Murphy o Trentemoeller o Boris Brejcha… o chiunque altro vi venga in mente. È chiaro che esistono tantissimi tipi di musica elettronica. Ma è sicuro che quella musica è sempre in qualche modo figlia del lavoro di Giorgio Moroder. Oggi Moroder compie 80 anni, e qualche volta ancora va in giro per il mondo a far ballare la gente. Auguri, maestro. Da qui all’eternità, una storia infinita.
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