Giorgio Rosa e la storia dell’Isola delle Rose

di Michele R. Serra

Rivoluzionari - Storie di Smemo
Giorgio Rosa e la storia dell’Isola delle Rose

Qualche volta capita, che il tuo paese ti deluda, no? E capita di pensare che forse sarebbe meglio andarsene, emigrare. Ma poi, dove vai? Tutti i paesi hanno i loro problemi, e mica puoi inventarti una nazione tu da solo. No?

Ecco, qualcuno, a farsi la sua di nazione, in effetti ci ha provato. E anche in modo piuttosto eclatante. Tra questi visionari c’è Giorgio Rosa, ingegnere bolognese che in una tranquilla estate dell’Italia degli anni Sessanta ha dato forma al suo sogno, alla sua visione del futuro della nazione. Costruendosi la sua. E non è un modo di dire. Una piattaforma galleggiante di quattrocento metri quadri, saldamente ancorata al fondale del mare adriatico, undici chilometri al largo di Rimini, sulla riviera romagnola. Il primo maggio, festa dei lavoratori, Rosa terminò lavori durati due anni, e dichiarò l’indipendenza della sua micronazione, l’Isola delle Rose.


(il documentario sulla storia dell’Isola delle rose è liberamente disponibile su youtube!)

Giorgio Rosa decise che sulla sua isola si sarebbe parlato esperanto, la lingua universale, potenzialmente comprensibile da tutti i popoli. E che quella palafitta fatta di tubi di metallo si sarebbe presto elevata fino a quattro piani. Così, mentre Giorgio Rosa brindava con gli amici sull’Isola delle Rose, sulla terraferma i turisti – italiani, ma anche moltissimi tedeschi – ballavano nei locali, e mettevano qualche monetina nei jukebox per ascoltare canzoni come Azzurro di Adriano Celentano, La bambola di Patty Pravo, Balla Linda di Lucio Battisti… Little Tony, Gianni Morandi, Le Orme, i Primitives…

Ma tutti quanti si accorsero presto della presenza della nuova nazione fondata dall’ingegner Rosa. I turisti si incuriosirono, e non ci volle molto prima che gli operatori turistici iniziassero a organizzare battelli che andavano e tornavano dall’isola. Rosa progettava di iniziare a battere moneta, aveva una sua linea di francobolli che vendeva ai turisti che venivano a trovarlo. Oggi, se ne trovate uno, non avrete in mano una piccola fortuna, ma un 50 franchi li vale. Solo che probabilmente, il valore simbolico è molto più alto.

Il problema per l’ingegner Giorgio Rosa e per l’Isola delle Rose, fu che non solo i turisti si accorsero dell’esistenza dell’isola. Le autorità italiane non la presero bene, ad esempio. E così, pochi mesi dopo la sua nascita, in un freddo giorno del febbraio 1969, il corpo sommozzatori della marina di La Spezia preparò una carica da mezza tonnellata di tritolo, la piazzò sotto la piattaforma e la fece brillare. L’isola delle rose non esisteva più.

L’idea bislacca – o forse geniale, dipende da come la pensate – era venuta a Rosa poco dopo il suo matrimonio, un paio d’anni prima di quel fatale 1968. Cos’era, dunque, l’isola delle rose? I rotocalchi dell’epoca la descrissero come un paradiso fiscale sull’esempio di San Marino, un postribolo dedito alla prostituzione, perfino un avamposo di una presunta invasione sovietica, che poteva contare sulla difesa da parte dei sottomarini russi. A noi piace pensare fosse una visione del futuro, per quanto ingenua e forse sbagliata. Forse il semplice tentativo di essere davvero liberi. E forse non è un caso se l’ingegner Rosa, morto un paio d’anni fa, usava sempre quella parola, quando ricordava la storia dell’isola delle rose.

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