“Gli zingari rubano” e altri pregiudizi

di Laura Giuntoli

La Sfatina sfata pregiudizi - Storie di Smemo

Questo mese la Sfatina, la super eroina disegnata da Maicol & Mirco, sfata i pregiudizi sulle persone di etnia rom e sinti. A darle una mano c’è Dijana Pavlovic, attrice e attivista politica della comunità rom e sinti.

Dijana Pablovic

Dijana, insieme a te sfatiamo un po’ di pregiudizi sulla comunità rom e sinti, la prima minoranza etnica in Italia, di cui tu fai parte. Ma prima raccontaci com’è composta.

Ci chiamiamo Kalè in Spagna, Romaničal in Inghilterra, Manuš in Francia, Sinti in Germania. Nei paesi balcanici siamo semplicemente rom, termine che nella lingua romanì significa “uomo” e che definisce in generale il mio popolo. Questo perché i rom e sinti non hanno un loro paese, sono sparsi in tutto il mondo. In Italia ci sono circa 160 mila persone di etnia rom e sinti, di queste circa 80mila sono a tutti gli effetti italiani da circa sei secoli, visto che sono arrivati nel 1400. Del resto, circa la metà sono arrivati qui negli anni ’90 come profughi, fuggendo dai conflitti nei Balcani e dalla guerra del Kosovo. Gli altri sono giunti a partire dal 2007, con l’entrata della Romania e della Bulgaria nella Comunità Europea. In Europa la stima è di 12 milioni di persone di origine rom e sinti. In pratica siamo la più grande minoranza etnica europea, e secondo tutti i dati delle istituzioni siamo anche la più discriminata.

Perché i rom e sinti sono così discriminati?

Le radici di questo fenomeno vanno ricercate nelle nostre origini. Secondo alcune fonti i rom e sinti giunti nei paesi europei intorno al XIII secolo d.C. sono originari dell’India del nord. Ci sono diverse teorie su questa grande migrazione, non si sa se sia stata causata da un’enorme carestia o da una persecuzione. Fatto sta che intorno al 1400 arrivò in Europa questo popolo così diverso, che parlava una lingua sconosciuta, nessuno sapeva da dove venissero, facevano dei mestieri strani. Attorno a loro si creò subito un alone di mistero, che alimentò paura e diffidenza nei loro confronti. Eppure non hanno mai armato un esercito, non hanno mai avuto pretese territoriali, sono sempre arrivati in modo pacifico. Questa lunga storia di persecuzione inizia con il loro arrivo: alle prime testimonianze scritte della presenza dei cosiddetti “zingari” in Europa, si affiancano anche le testimonianze di ostilità e sopruso nei loro confronti. Questa sopraffazione secolare è culminata durante la Seconda Guerra Mondiale con il genocidio di persone appartenenti ad etnie ritenute “indesiderabili” dai nazifascisti. Dopo gli ebrei i più colpiti sono stati i rom e sinti. Se il significato del termine Shoa (che indica lo sterminio del popolo ebraico) si insegna nelle scuole, pochissimi sanno cos’è Porajmos: in lingua romanì significa morte, distruzione, ed è la parola con cui il mio popolo definisce lo sterminio di oltre 500 mila persone nei campi nazifascisti, anche noi stimiamo che siano molti di più. In Italia abbiamo avuto campi di internamento destinati a rom e sinti, come quello di Agnone, in provincia di Isernia. In questo luogo, coloro che non venivano deportati nei campi di sterminio morivano per malattia o a causa delle percosse. Eppure Porajmos non è riconosciuto in Italia, non se parla nemmeno il 27 dicembre, il Giorno della Memoria istituito per commemorare le vittime dell’Olocausto. È una pagina vuota della storia italiana, sarebbe molto importante parlarne nelle scuole per prevenire i fenomeni di razzismo nei confronti del popolo rom e sinti. Che purtroppo sono in aumento.

Quindi il razzismo nei confronti della vostra comunità sta crescendo?

Quest’anno abbiamo notato una crescita esponenziale dei discorsi di odio nei nostri confronti, anche da parte dei media, un’ostilità che negli ultimi 15 anni è aumentata in modo progressivo. E come spesso accade, dalle parole si è passati ai fatti: episodi di “hate crime”, i cosiddetti crimini d’odio, manifestazioni di violenza contro gruppi di persone discriminate per etnia, religione, eccetera, non solo individuali ma anche episodi organizzati. Penso a quello che accaduto nei quartieri romani di Torre Maura o a Casel Bruciato: persone che si organizzano in massa per aggredire le famiglie rom. Succede a molti, ma spesso non denunciano perché hanno paura. Scappano e basta.

Quali sono le caratteristiche della cultura rom e sinti?

Anche se parliamo correntemente tutte le lingue europee, l’elemento più importante della nostra cultura è senza dubbio la lingua romanì. Con le migrazioni si è modificata e abbiamo tanti dialetti, ma la radice è la stessa per tutti e proviene direttamente dal sanscrito. Professiamo tutte le religioni presenti in Europa, tra i nostri valori fondativi ci sono la famiglia, il senso di comunità e il vivere insieme. Un altro elemento importantissimo è il rispetto per gli anziani come portatori del sapere e dell’esperienza: la nostra tradizione è orale e si è trasmessa nei secoli proprio grazie a loro. Anche i bambini sono importanti, perché i figli hanno un grande valore nella cultura rom: il nostro è un popolo molto giovane, composto per la metà da bimbi e ragazzi. Nel 1971 c’è stato il primo gesto di consapevolezza della comunità rom e sinti attraverso la creazione dell’Unione Internazionale Romaní. I rom e sinti si sono riuniti a Londra per chiedere il riconoscimento di un’identità e di un patrimonio culturale e linguistico. E per la prima volta hanno detto: noi non siamo “zingari”, così ci chiamano gli altri in modo dispregiativo, noi ci chiamiamo rom. “Rom” vuol dire uomo, persona. Da allora abbiamo una bandiera e un inno: Gelem Gelem, composto dal musicista Jarko Jovanović dopo Porajmos, (Ho camminato, ho camminato ho incontrato buoni amici, anche io avevo una famiglia ma la legione nera l’ha sterminata). Da allora i rom e sinti hanno iniziato con grande fatica ad organizzarsi, a creare associazioni per combattere contro le violenze subite, per essere riconosciuti e accettati nella società.

Sfatiamo insieme 5 pregiudizi sulla comunità rom e sinti.

1) Rubano i bambini. “Stai buono o ti rubano gli zingari.” Se lo sono sentiti dire un sacco di bambini, soprattutto in passato. Così sono cresciuti con una paura irrazionale, totalmente falsa e difficilmente sradicabile nei nostri confronti. “I rom rubano i bambini” è il pregiudizio più infamante e ingiusto. Negli atti giudiziari non c’è traccia di un fatto reale in cui una persona di etnia rom abbia rubato un bambino. Tra l’altro i rom ne fanno tantissimi, di bambini, se hanno una ricchezza sono proprio i loro figli.


2) Sono nomadi per scelta.
Per secoli i rom sono stati nomadi, ma quando hanno avuto un’occasione favorevole si sono fermati. Molto spesso, e molto banalmente, si spostavano perché venivano cacciati via, e questo nei secoli è diventato il loro modo di vivere. Se sei sempre costretto a spostarti, alla fine ti adatti: fai il venditore ambulante, l’artigiano, il venditore di bestiame, il circense, l’artista di strada e così via, tutti mestieri ti consentono di muoverti. Con il tempo la situazione è cambiata: in Italia rom e sinti non sono nomadi da circa 150 anni. Il fatto che alcuni rom vivano nei cosiddetti “campi nomadi” non li definisce come tali. Nei campi vivono da 20 a 30 mila persone di etnia rom su circa 160 mila. La maggioranza dei rom quindi vivono nelle case. Quelli che vivono nei campi sono la faccia più debole e povera della nostra comunità. E certamente non sono nomadi, sono stanziali fino a quando non vengono sgomberati. I campi nomadi sono stati un’invenzione delle istituzioni italiane per dare una situazione abitativa agli “zingari”, che per l’appunto erano ritenuti nomadi. Anche perché i rom vivono in comunità familiari, si prendono cura dei loro anziani, hanno molti figli e gli alloggi popolari non erano adatti ad accogliere famiglie così numerose. I campi sono anche una forma di controllo su queste persone, e ben presto la situazione si è trasformata in una segregazione istituzionale vera e propria. Per esempio nei modi in cui sono stati gestiti i campi, ai margini delle città con condizioni igienico-sanitarie pessime, con container ben lontani dall’idea di alloggi dignitosi. In più lo Stato non ha rispettato la cultura della comunità rom. I campi a Roma ad esempio sono luoghi recintati dove mille o duemila persone si ritrovano a vivere insieme perché appartengono alla stessa etnia, non alla stessa famiglia o comunità familiare. Di fatto hanno creato dei campi di concentramento: hanno letteralmente concentrato persone della stessa etnia all’interno di questi campi. Questa scelta di fatto si è rivelata una segregazione istituzionale. I rom non vivono nei campi per scelta ma perché non hanno altre possibilità.

3) Gli zingari rubano. È vero che esiste la microcriminalità nella comunità rom, così come esiste nel resto della popolazione. Le ragioni della microcriminalità non sono legate all’etnia, ma al degrado, alla povertà, alla marginalità. La microcriminalità è un fenomeno sociale: in una baraccopoli, che sia una favela brasiliana o un campo nomadi a Roma, i tassi di criminalità sono causati dall’emarginazione di quelle persone. I rom che fanno i farmacisti, gli insegnanti, gli avvocati e vivono nelle loro case non delinquono. E poi non dimentichiamoci che un povero che ruba i portafogli nelle stazioni per tutta la vita non riuscirà mai a rubare quello che un colletto bianco corrotto ruba in sei mesi. Ciò che muove questo pregiudizio non è tanto il valore di ciò che viene rubato, ma la percezione della propria sicurezza messa a rischio, è sempre la paura.

4) Non mandano i figli a scuola. La comunità rom e sinti ha un rapporto pessimo con la scolarizzazione. La causa risale agli anni Sessanta, quando lo Stato italiano istituì le classi speciali “Lacio drom” (Buon cammino), ghettizzando i bambini rom e sinti all’interno delle scuole in locali appartati, non idonei e isolati dai compagni. Questa segregazione è rimasta in vigore fino al 1982, ma molti rom che adesso sono genitori se la ricordano, e non sono certo bei ricordi. Ancora oggi la situazione è difficile, i nostri figli a scuola vengono subito etichettati come nomadi, pensa che il 90% di loro in Lombardia vengono subito classificati come bambini con problemi di apprendimento, così la classe ha diritto ad un insegnante di sostegno. La loro integrazione nella classe dipende dalla sensibilità della maestra e dei compagni. Nella maggioranza dei casi, sei etichettato come “zingaro”, sei isolato, deriso, vedi te stesso negli occhi degli altri e ti senti incapace. Perdi l’autostima, ti ritiri in te stesso, o ti arrabbi e diventi violento. Questo è il percorso psicologico di un bimbo rom a scuola, che si conclude in quinta elementare senza che abbia imparato quasi nulla. Ho visto spesso bambini rom e sinti che non vogliono andare a scuola, perché per loro non è un luogo di curiosità e socialità, ma di soprusi. Nella loro comunità i bambini rom sono apprezzati, la loro autostima cresce e non viene messa in dubbio, per questo i genitori preferiscono tenerli a casa. E così gli è preclusa la scolarizzazione, per non parlare del loro rapporto con le istituzioni che è fortemente compromesso da questa esperienza scolastica così negativa.

5) Le ragazze rom e sinti si sposano molto giovani. In generale i ragazzi e le ragazze di etnia rom tendono a sposarsi da giovani, ma senza distinzione di genere. Qualche decennio fa era una pratica diffusa anche per il resto degli italiani, poi negli anni è andata scemando anche grazie alla scolarizzazione. Se i ragazzi hanno la possibilità di studiare si sposano più tardi, perché hanno altre ambizioni. Formare una famiglia per la comunità rom oltre ad essere un valore fondamentale è un fattore culturale e sociale. Per molti ragazzi il percorso scolastico si interrompe per via degli sgomberi, per la discriminazione all’interno delle scuole, così il matrimonio diventa l’unico loro obiettivo di realizzazione personale.

Cosa si può fare secondo te per abbattere i pregiudizi sulla comunità rom? Parlare coni ragazzi e sfatare i pregiudizi e importante, ma non basta. Ci vuole un intervento vero, profondo, istituzionale: la storia del popolo rom e della sua persecuzione deve entrare nei libri scolastici, non deve essere lasciata alla volontà di un bravo insegnante. Lo stato italiano deve riconoscere rom e siti come una minoranza etnica. In Italia ci sono 12 minoranze riconosciute, ma non la nostra, anche se è la più numerosa. Finché questo non avviene, le persone rom per lo Stato italiano non saranno un interlocutore, ma solo un problema sociale, o nella peggiore delle ipotesi, un problema di sicurezza. Se tu sei una minoranza riconosciuta viene riconosciuta anche la tua storia, la tua lingua, la tua cultura, e lo Stato italiano deve proteggere la tua tradizione. Il senso di tutta questa lunga storia che ti ho raccontato è che solo attraverso la volontà politica possiamo abbattere i pregiudizi. Quando lo Stato riconoscerà l’identità del popolo rom, avremo fatto il primo vero grande passo verso l’integrazione.

Cosa dice su questo pregiudizio la Garante dei diritti per l’infanzia e l’adolescenza del Comune di Milano Anna Maria Caruso:  “La Convenzione internazionale sui diritti del  fanciullo, firmata a New York il 20-11-1989, è la carta fondamentale che tutti i Paesi del mondo (tranne gli Stati Uniti) riconoscono e si impegnano a rispettare nell’ambito della propria sovranità. La Convenzione riconosce che tutte le persone minori di età (da 0 a 18 anni) hanno  diritto a vedersi riconoscere gli stessi diritti propri di ogni essere umano ed hanno altresì diritto ad essere aiutati e rispettati nel loro processo di crescita. La Convenzione si  ispira a quattro principi fondamentali:  non discriminazione;  migliore interesse del minore;  diritto alla vita, alla sopravvivenza ed allo sviluppo; diritto all’ascolto ed alla partecipazione.

Non discriminare significa che etnia, religione, cultura di appartenenza (anche dei genitori), sesso, opinioni politiche, classe sociale, disabilità ed ogni altra circostanza, non possono incidere sulla titolarità dei diritti per limitarli.

In generale questo significa  distinguere singoli comportamenti  che possono essere negativamente giudicati da giudizi complessivi sulla persona che quei comportamenti ha posto in essere, quando quella persona presenti una caratteristica particolare o per il colore della pelle o per l’appartenenza ad una etnia o per la fede religiosa o per altre circostanze.

Ciascuna persona è qualcosa in più di un singolo comportamento.

E’ vero che alcuni bambini e bambine rom vengono “educati” al borseggio ma questo non significa che tutti i rom rubano. Considerare i rom ladri significa pregiudicare la loro possibilità di un percorso di integrazione. Ci sono storie molto belle di ragazzi e ragazze rom che hanno fatto delle loro tradizioni culturali un punto di forza che ha consentito loro di sentirsi, a pieno titolo, cittadini italiani, come molti di loro sono.

Chi è Dijana Pavlovic: portavoce del Movimento Kethane – Rom e Sinti per l’Italia, presidente dell’ Alliance for European Roma Institute e fondatrice dell’Eriac. Nasce a Kruševac, nella Serbia centrale, l’11 novembre del 1976 da una famiglia di etnia rom. Vissuta in Serbia fino al 1999, anno in cui si laurea presso la Facoltà delle Arti drammatiche dell’Università di Belgrado, si stabilisce, nel corso dello stesso anno, in Italia, a Milano. Dal 1995 al 1999 partecipa a diversi Festival Internazionali di Teatro in Iugoslavia, Romania, Bulgaria. Da ormai diversi anni, la Pavlović promuove la cultura e la letteratura rom, svolgendo anche il ruolo di mediatrice culturale nelle scuole. Nell’ottobre del 2007, attuando uno sciopero della fame contro il Comune di Milano, favorisce la costituzione di un tavolo – che raccoglie le associazioni e il sindacato milanesi – che elabora una piattaforma di intervento sulla questione Rom. Collabora con il Consiglio d’Europa e con Open Society Foundations.