Il viaggio della Sterna artica

di Mia Canestrini

Sei una bestia - Storie di Smemo
Il viaggio della Sterna artica

Ieri sono stata a trovare una mia amica a Faenza. Non ci vedevamo da tantissimo tempo ma ci conosciamo abbastanza (34 anni) perché basti uno sguardo per ricominciare da dove avevamo lasciato. Sulla strada del ritorno, mentre imboccavo l’autostrada, ho visto un enorme stormo di storni (lo so sembra un gioco di parole), quei piccoli uccelli marroni che avete sicuramente visto in qualche parco urbano, radunarsi in cielo e disegnare nuvole nere che si torcevano in aria come onde. Per qualche istante ho pensato a come ci si dovesse sentire, ad essere uno storno in procinto di partire.

Quando l’estate finisce, la luce taglia obliqua l’aria e tutti noi ci rassegniamo a riprendere la solita routine casa – scuola – lavoro, moltissimi animali si preparano a migrare. I più famosi sono le rondini, delle quali attendiamo ogni primavera l’arrivo. Credo siano l’espressione massima della libertà in un mondo in cui noi uomini abbiamo eretto barriere fisiche, culturali, economiche e burocratiche di ogni sorta, con conseguenze spesso drammatiche sulla vita delle persone. In questi giorni avrei solo voglia di unirmi a qualche stormo e andarmene, volare via. Una specie di pausa dai problemi, dalle incognite sul futuro e dalla società. Scomparire in mezzo alle nuvole e atterrare da un’altra parte, a migliaia di km di distanza, dove tutto ricomincia da capo.

Ma non posso, allora fantastico sulle specie migratrici, su tutti coloro che via cielo, via terra e via mare sono liberi di prendere e andare. In realtà gli animali non partono in preda a qualche turba esistenziale ma per necessità: i motivi per i quali lo fanno sono sempre gli stessi, riprodursi, trovare cibo e evitare stagioni troppo calde, troppo secche, troppo piovose o troppo fredde nelle quali non riuscirebbero a sopravvivere.

È proprio la spinta della vita dunque a portare migliaia di specie a muoversi, fare i bagagli e dire ciao, ci vediamo l’anno prossimo! Alcuni animali partono da soli, una scelta davvero coraggiosa perché estremamente più rischiosa del viaggiare in gruppo: essere in centinaia, a volte migliaia, persino milioni come le sardine, riduce il rischio di essere attaccati dai predatori.

I migratori più famosi sono senza dubbio gli uccelli, e in effetti quando devono spostarsi mostrano capacità di volo e orientamento straordinarie: la mia preferita è la sterna artica, un uccello bianco come il latte con una buffa macchia nera sulla testa. Pesa poco più di un etto, nidifica in luoghi che di certo non considereremmo dei più ospitali, come la Groenlandia, l’Islanda, ma anche la Siberia e l’Alaska, ad un battito di ali dal Circolo Polare Artico.

A quelle latitudini l’estate esiste, seppur breve e decisamente fredda, e questo basta alla sterna artica per allevare i suoi pulcini. Finita l’estate artica tutte le sterne scaldano i motori per intraprendere quello che è secondo me il viaggio dei viaggi, almeno per un uccello così piccolo e all’apparenza così delicato. A volte vorrei essere una pulce per nascondermi tra le sue piume e vivere con lei un’esperienza tanto incredibile.

Ovviamente se la sterna sceglie luoghi tanto estremi per riprodursi non può scegliere posti da meno in cui svernare e quindi avete già capito: se ne va a sud, ma proprio sud, così a sud che uno inizia a dubitare di aver capito bene. Vola in media per 70.000 km all’anno, con casi di oltre 90.000 km e raggiunge i continenti dell’emisfero australe nelle loro propaggini più meridionali, fino a toccare l’Antartide. Dal Polo nord al Polo sud e ritorno, così, a colpi di ala, tanto da arrivare a percorrere nella sua vita qualcosa come 2.500.000 km, l’equivalente signore e signori di tre viaggi andata e ritorno dalla Luna. Riuscite a immaginare la tenacia, la resistenza di questo piccolo uccello e la meraviglia che deve riflettersi nei suoi occhi attraversando letteralmente tutto il Pianeta?

La storia più straordinaria è quella di una sterna inglese che potremmo ribattezzare Artic: il 25 luglio 2015 Artic si alza in volo da uno scoglio sulla costa di Northumberland, Isole Farne, Regno Unito, insieme ad una trentina di compagni. Sembra voglia sgranchirsi le ali e magari lanciarsi su un pesce che ignaro nuota sotto il pelo dell’acqua, ma invece qualcosa nell’aria, nella luce e nel sangue, le dice che è ora di partire. Punta dritta verso sud ovviamente, attraversando l’Europa e l’Africa che segue lungo le coste, poiché ogni tanto ha bisogno di fermarsi a pescare. Supera il Capo di Buona Speranza per arrivare a sorvolare l’Oceano Indiano in ottobre e in novembre voilà, è in Antartide. Pochi mesi a zonzo nei mari del sud del mondo e riparte per tornare, il 4 maggio 2016, sulla costa dalla quale era partita. 96.000 km, novantaseimila km, n o v a n t a s e i m i l a km!

Non ho mai avuto miti di riferimento, attori, cantanti o che ne so, personaggi politici, ma credo che Artic lo sia diventata. La sua migrazione può essere una gigantesca metafora della vita: grande come un astuccio, senza alcuna arma di difesa, compie ogni anno un viaggio al quale non può sottrarsi e che ha un significato ben preciso: vivere.