
Amadou Diawara scende in campo come certuni “scendono a mare”, con disinvoltura, e lo fa pur avendo 17 anni. Questo ragazzino non è per niente affetto da timidezza quando si tratta di entrare nella scena adatta a lui: il campo di gioco. Non si può dire la stessa cosa quando è chiamato a rispondere alle domande dei giornalisti in conferenza stampa: lì Diawara si porta appresso tutta la sua soggezione, ridiventa un ragazzino pieno di insicurezze davanti alle cose dei grandi.
Si blocca davanti alle domande, chiede scusa, fa istanza per avere a disposizione cinque minuti in modo da potersi ricomporre, trovare se stesso, cercare una introvabile spigliatezza. Non trova pienamente la padronanza della situazione ma riesce ad arrivare fino in fondo alla serie di domande che gli pongono quelli della carta stampata. Chi lo ascolta, e ha la bontà di immedesimarsi in lui, non può non tirare un sospiro di sollievo quando Amadou risponde all’ultima domanda affermando che vorrebbe giocare come Yaya Touré, il suo riferimento, “e magari un giorno, perché no, superarlo”. Ci sono certe persone che non possono fare a meno di quel sentimento che si suol chiamare tenerezza, Amadou Diawara è uno di questi.
È molto importante per chi ama il calcio come me sapere che nell’ambiente ci siano delle persone non corrotte, piene di passione per questo sport, alla ricerca della palla e non del rotocalco, alla ricerca del risultato e mai della celebrità.
È così che Amadou Diawara gioca nel Bologna Football Club: con intensità, dedizione e sentimento. Indossa il numero 21 e agisce nella zona centrale del campo. Per meglio dire, è un centrocampista centrale, gioca davanti alla difesa con il compito di difendere quando il pallone è in possesso della squadra avversaria e di impostare l’azione quando il pallone lo detiene la propria squadra. Se ci si pensa davvero, non è affatto un compito semplice il suo.
Domenica sera, alle ore 18, aveva il compito di fermare i vari Pogba, Khedira, Cuadrado, giocatori più grandi di lui e già affermati. Domenica sera aveva il compito di sorreggere il centrocampo del Bologna allo Juventus Stadium, in parte lo ha fatto anche se la sua squadra ha perduto per tre reti a uno. Là in mezzo al campo ha fatto quello che ha potuto, sofferente di solitudine, così ingiustamente abbandonato dai suoi compagni di reparto. Il risultato non è mai stato messo in discussione, la Juventus oltre ad essere squadra più blasonata, è nettamente più forte del Bologna, di un’altra categoria si direbbe. Certo, per vincere la partita non aveva bisogno dell’aiuto dell’arbitro, il quale nel secondo tempo, per manie di protagonismo, si è inventato un rigore a favore della Juve, questo fatto è totalmente sconcertante e inaccettabile per avere fiducia nella giustizia della provvidenza.
La Juventus, per vincere la gara, non aveva neppure bisogno dello spavaldo allenatore del Bologna, che allo Stadium si presenta con tre punte, invece di schierare un modulo più guardingo, quell’onesto 4-4-2 ormai dimenticato nel granaio dei moduli. L’allenatore del Bologna, Delio Rossi, avrebbe dovuto inserire un centrocampista di copertura e rinunciare ad un attaccante. Giocare coperti, sulla difensiva, giocare nella propria metà campo e vivere di ripartenze. D’altro canto il Bologna così ha giocato, sulla difensiva, a cosa servivano, pertanto, tre punte? Rimane un mistero su che materia scorra tra la mente di Delio. Il Bologna è ultimo in classifica, ha un sacco di problemi sulle fasce laterali, ma non voglio parlare di questo adesso, quello che mi stupisce e che mi interessa dire, è che Amadou Diawara non ha per niente subito l’emozione di giocare contro una squadra così titolata, non ha sofferto il turbamento di entrare in uno stadio così importante, cosa che sarebbe normale per un ragazzino della sua età.
Diawara sul prato verde può stare tranquillo: non è davanti ai microfoni, non deve rispondere a domande noiose del giornalista di turno, egli è all’interno di un rettangolo libero di esprimersi. Questo ragazzo deve respirare una certa aria di libertà quando gioca al pallone, vi è un certo libero arbitrio che aleggia tra suoi pensieri: amare incondizionatamente il pallone. Certo, c’è sempre un avversario contro cui fare i conti, ma è un avversario che ha le sue stesse armi, le gambe.
Diawara ha scelto di giocare a pallone e non di rispondere alle domande indiscrete del giornalista di turno, ha scelto di vivere pressato da un giocatore come lui, in pantaloncini, e non dall’imbarazzo.
Spero tanto che un giorno possa giocare come Yaya Touré “e, perché no, superarlo”.
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