La doppia assenza

di Alessia Gemma

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La doppia assenza

Tutto quello che avevi non ce l’hai più. Niente. Che fai? Secondo me se puoi scappi, corri lontanissimo. Ognuno di noi scapperebbe. Io scapperei per non morire. E se attorno a te hai solo deserto e finalmente il mare, come scappi? Camminando camminando camminando verso una barca. E se tutti come te vogliono scappare allora sali sul primo barcone che riesci a trovare e carichi i tuoi cari e quattro stracci, lasciando tutto. Hai così tanta paura che nel tuo paese non ci vuoi più stare, perché potrebbero farti molto molto male e non hai capito neanche perché. Hai così tanta paura da trovare il coraggio di affrontare un viaggio tremendo, pericolosissimo, tra i tuoi amici, bambini, familiari e gente come te che muore, piange o impazzisce. Finalmente vedi la terra ferma dall’altra parte, sei salvo allora. Tu ce l’hai fatta. Sei riuscito ad allontanarti dall’orrore, almeno con il corpo. Hai freddo, fame, sete o tanto, troppo caldo, sei stato giorni e giorni in mezzo allo sporco.

“Le nostre madri navigano tra due sponde. Vivono nella cultura del dubbio, della via di mezzo. Non hanno i piedi sulla terra ferma. Sono rimaste in mezzo al Mediterraneo, tra l’Algeria e Marsiglia, e nuotano. Ma loro non sanno nuotare. Dunque sono annegate. Ma sono ancora vive. E hanno molta paura dell’acqua.” Ahmed Djouder, Disintegrati, storia corale di una generazione di immigrati, il Saggiatore, Milano

 

Ma ora sei salvo, vedi la terraferma dei buoni, quelli civili che sicuramente ti aiuteranno, perché vedono che stai soffrendo e allora ti aiuteranno. E invece no: tu a quelli che dovevano essere i buoni, gli umani come te che non stanno in guerra, tu ridotto in quel modo gli fai schifo. Tu e la tua terra gli fate schifo. Dalla parte della pace non ti vogliono. E allora che pace è questa? 

Ecco, non è difficile, basterebbe immedesimarsi solo un secondo, anche un attimo, per capire la disperazione totale e il vuoto e il male e che gli immigrati sono arrivati fino a qua e vanno aiutati a basta. Farsi vedere piangere è forse offensivo per loro, ma implodere un po’ di dolore farebbe bene a tutti. È facile: ti ammazzano i cari, ti tolgono tutto, scappi per non vedere più quell’orrore. Ti porterai dietro per tutta la vita questo dolore atroce. Hai bisogno di rispetto più che di cibo per non impazzire. Non vuoi rubare niente a nessuno, non ne avresti neanche la forza. Vuoi vivere, sopravvivere, come vuole ognuno di noi.

Si dice “doppia assenza” quando sei trasparente per il mondo lasciato e trasparente per il mondo ritrovato. Né di qua né di là. Non hai più identità, non sei più nessuno neanche davanti lo specchio. Vivi nel mezzo, di niente. 

“Né cittadino né straniero, né dalla parte dello Stesso né dalla parte dell’Altro, l’immigrato esiste solo per difetto nella comunità d’origine e per eccesso nella società ricevente. Fuori posto nei due sistemi sociali che definiscono la sua non esistenza.” Abdelmalek Sayad

L’identità di ognuno di noi, di ogni uomo che vive tra le persone, passa e si costruisce anche attraverso gli occhi di chi ci guarda: io sono io anche per e nello sguardo dell’altro. E se io mi sentissi guardato con odio, schifo, orrore, paura, allora la mia identità sarebbe fragile, vulnerabile, sofferente. Diventerei una persona peggiore per colpa dello sguardo cattivo degli altri. È anche per questo che gli immigrati e i loro figli vanno aiutati, perché viviamo insieme e perché sarà sicuramente meglio e più vantaggioso per tutti essere persone migliori. 

“Il padiglione Expo2015 che ha centrato meglio il concetto di “Nutrire il pianeta” lo trovate in Stazione Centrale.” Claudio su Facebook