
Benigni. Conosciamo Roberto da molti anni e pensiamo senza mezzi termini che sia un poeta vero, e non solo della comicità, ma a tutto tondo. Intendendo come poesia quella cosa attraverso la quale, per naturale magia, qualcuno riesce a emozionare qualcun altro attraverso una propria emozione. Ma accade raramente, e quasi sempre si tratta di una contaminazione di nicchia, per pochi e tra pochi. Rarissimamente, invece, succede che questo scambio di emozioni e di anime avvenga a livello di massa; se si verifica, allora la cosa diventa davvero speciale, si tramuta in poesia popolare, nella cultura di un popolo.
Roberto ci è riuscito più volte, basti pensare a La vita è bella, al V canto dell’Inferno nella Divina Commedia, a certi passaggi dell’irruzione sanremese sul nostro Inno nazionale.
In queste sere abbiamo lavorato e siamo quindi riusciti a vedere per intero solo oggi il lavoro di Benigni sui primi dodici articoli della Costituzione italiana andato in onda l’altro giorno su Rai Uno.
Guardando Roberto muoversi, emozionarsi, ascoltando le sue animosità contagiose, leggendo le sue parole dette e quelle pensate, abbiamo avuto la certezza che ormai questo nostro ultimo grandissimo giullare ora triste ora esilarante, nasconda dietro a una naturale semplicità, la consapevolezza di essere uno degli ultimissimi baluardi che ci restano per convincere la gente, quella che una volta si chiamava “popolo”, che esiste un modo positivo per risolvere anche i suoi periodi più difficili. E che già dentro alla nostra storia di nazione moderna ci siano le strade e i sentimenti per migliorarci e costruire/ricostruire là dove parrebbe invece che non vi sia più spazio né motivazioni per farlo.
Tempo fa abbiamo scritto – permetteteci per una volta di essere un po’ seriosi – che dentro alla prima metà del primo articolo della Costituzione italiana, vivono i quattro elementi della vita di un popolo nell’era contemporanea per il presente e per il futuro.
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”
L’Unità Nazionale (cioè l’Italia, appunto, nel giusto rispetto delle autonomie). Il concetto di Repubblica (res-publica, cosa-pubblica; anche in contrapposizione al concetto di monarchia). Il concetto di Democrazia (parlamentare). La sacralità del Lavoro (come diritto e come dovere di crescita sociale e personale).
Bene lì dentro, nella Costituzione italiana che ci racconta Benigni, c’è tutta la nostra storia dal dopoguerra ad oggi, quello che siamo stati e quelli che non siamo ancora riusciti a essere.
Dopo una lunga e divertente premessa satirica sull’attualità, Benigni nel suo assolo sulla nostra Carta, parte da lì. E attraversa i 12 bellissimi articoli base della Costituzione con una verbosità e un’emotività contagiose. Toccando temi e convinzioni come l’assurdità della pena di morte, il diritto al lavoro, la rivalutazione politica, l’unità nazionale, le minoranze e le diversità, i rapporti con la chiesa e quelli con il mondo.
Bene, ora possiamo dire con certezza che Roberto Benigni è ormai l’unico intellettuale italiano in grano di trasmettere emozioni forti raccontandoci – con seguiti di massa – la nostra storia di popolo. Lunedì sera l’hanno visto in media dodici milioni e mezzo di italiani. Uno sproposito. Speriamo che sia un buon segno.
Roberto, “l’Affabulatore della Democrazia” lo sa fare bene anche e soprattutto perché ci crede davvero.
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