
Gipi è uno dei fumettisti più famosi di questo momento storico. Uno dei pochi capaci delle seguenti cose: rilanciare le vendite di libri a fumetti, in un momento in cui di libri (in generale) se ne vendono pochi, pochissimi; creare una nicchia nelle librerie (che è stata chiamata per comodità graphic novel); abbattere le barriere tra letteratura-senza-disegni e fumetto (se da fumettista ti candidano al più importante premio letterario italiano, cioè il premio Strega, qualcosa vorrà pur dire). E dunque.
Gipi ha fatto tutto questo raccontando storie per una buona percentuale autobiografiche, a partire dal libro che gli ha dato per primo la notorietà, e cioè La mia vita disegnata male. Perciò, visto che l’autobiografia gli funzionava bene, nel suo ultimo libro l’autobiografia l’ha smollata. Completamente. Ed è andato a battere su uno dei temi narrativi più sfruttati nell’ultimo mezzo secolo.
Eh sì, di storie post-apocalittiche ne abbiamo viste molte. Di fantascienza distopica, di personaggi ultimi sopravvissuti in un mondo quasi morto, ce ne sono a carrettate. Da Ken il guerriero a Maze Runner, c’è solo l’imbarazzo della scelta. E adesso anche Gipi ha tirato fuori un racconto post-apocalittico. Un racconto in cui una famiglia mozzata (composta solo di tre maschi, padre e due figli appena adolescenti), lotta per sopravvivere in un mondo senza quasi più nessuno. Che tra l’altro, come spesso capita in questi casi, gli altri superstiti sono tutt’altro che amichevoli.
Gipi racconta che in realtà a lui non interessa tanto l’ambientazione post-apocalittica, quanto piuttosto le possibilità offerte da un mondo semi-deserto: niente macchine, tecnologia, telefoni, internet, e di conseguenza l’opportunità di concentrarsi solo sui personaggi, sui loro rapporti. Non esattamente idilliaci.
Già, non c’è molta speranza, dentro La terra dei figli. Come sempre capita in questi casi, finisci per leggere dentro il futuro distopico una metafora del presente, pensi che l’uomo spogliato di tutto rimanga una bestia violenta e tragica. E poi ancora, che la ricerca dell’affetto e di una qualche forma di comprensione sia difficile, spesso destinata a fallire. Ma non per questo dobbiamo smettere di provarci. Che poi è il messaggio del libro.
Difficile non essere d’accordo. Se poi i disegni sono stupendi, come in questo caso, è anche più facile.
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