
Io quando ho cominciato a parlare e a ragionare, già all’asilo modestamente, quando proprio mi rompevo o mi rompevano, non dicevo che noia, che tedio, che palle… io dicevo “Che Pizza!”. Credo anche che tutti i miei amichetti dicessero Che Pizza! perché a me è sempre sembrato normale poi dire Che Pizza!
Finché, un bel giorno, da adulta, durante un litigio serio da grandi ho urlato: “Che Pizzaaaaaa!”. Mi sono allora accorta, dopo essere scoppiata a ridere, che quell’espressione non era più così azzeccata, ma non per un dato anagrafico ma di gusto: la pizza è buonissima, non può esprimere una cosa così negativa come la noia e il fastidio. Improvvisamente quell’espressione mi sembrò divertente, piena, buona, sugosa, come la Pizza appunto.
Ecco allora, e qui vengo al punto, che La vita è una pizza: noiosa e sugosa e ogni storia è un buonissimo ingrediente. Poi dipende da chi la fa ‘sta pizza, da chi la fa ‘sta vita. Per questo secondo me Stefano D’Andrea ha intitolato così il suo libro, La vita è una pizza, che è scritto per gli adulti, per chi ha figli, per chi non ne ha, per chi sta crescendo, per chi è troppo cresciuto. Per chi insomma ha una vita, perché è un libro di storie ed è attraverso le storie e la narrazione che si dipana e costruisce e rappresenta la vita e soprattutto perché è attraverso la memoria delle storie che si comincia a crescere.
Lo sapevano Daniel Pennac, Gianni Rodari,
Bruno Tognolini, quando ci hanno restituito ciò
che siamo stati e che hanno fatto vivere con più
consapevolezza e più leggerezza la nostra condizione
di adulti, attraverso le storie appunto. Lo sa Stefano D’Andrea quando ci racconta la scuola, il cibo, la settimana, i nonni, i genitori, la creatività, il gioco, con la leggerezza di una storia normale, piccola, bella e buona… come una pizza.
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