
L’inditaliano migliore del 2016 secondo l’Alligatore – Seconda parte (clicca qui per leggere la prima!)
Sara Piolanti, Farfalle e falene
Disco ricco di parole e atmosfere questo primo album solista di Sara Piolanti, già nei Caravane de Ville e nel power trio New Cherry. Autoprodotto, scritto, suonato, cantato da sola, con l’aiuto di Franco Naddei (Francobeat), produttore intelligente ed eclettico. Con lui ha saputo dosare bene gli elementi, fondendo rock ed elettronica ad alte temperature.
Dieci pezzi cantati con la stessa intensità e le giuste pesate parole. Dieci pezzi forti e coraggiosi, tra i quali scelgo “Millenium”, scatenato/scatenante alternative-rock politicamente impegnato, che sale a ogni ascolto, “Il privilegio dell’indifferenza”, dall’ottimo testo cantato con una gran voce, tra l’altro, “Io ero”, con una chitarra incalzante e il piglio sbarazzino neofemminista. Da segnalare anche la title-track, intesa e intima allo stesso tempo, e “Canzone per te”, messa in chiusura, con l’elettronica al servizio dell’uomo (donna in questo caso) e un bel piano.
Molto bello il video del primo singolo, “Muore di me”, con protagonista la stessa Sara, accanto a sua sorella Giulia, performer del Cirque de Soleil. Un video dove mostra la sua poliedricità nel cantare e suonare più di uno strumento e al contempo partecipare alle elaborate contorsioni della sorella. Donne e artiste a tutto tondo “Farfalle e falene”.
Sara Piolanti, Farfalle e falene – Autoproduzione, 2016
https://www.facebook.com/Sara-Piolanti-266005373785676/
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AABU, Basta scegliere
Progetto originale quello dei bolognesi AABU, che con questo “Basta scegliere” presentano un doppio disco con le stesse canzoni, con una piccola differenza che all’ascoltatore attento non può sfuggire: cd con sopra il “pugno” della copertina con un suono più sporco, underground, cd con sopra il “fiore” con un suono più pulito, cristallino addirittura, mainstream si potrebbe dire. Ma i testi sono gli stessi, così le melodie, gli arrangiamenti … allora, basta scegliere che? La loro è una provocazione, contro la società della finta liberta (di scelta), nella quale viviamo.
Tutte le canzoni hanno al centro questo scagliarsi, con rabbia e furore da anni settanta, contro le banalità di oggi, dell’Impero della finta libera scelta. Canzoni come “Salvami” (dagli esami del sangue/e dalle buone maniere/da “natale con i tuoi”…), che apre il disco, pop-rock sempre più intenso con belle chitarre, o “L’Impero del fastidio”, ancora più radicale nei suoni, più cattivi, il gran ritmo e il bel testo pieno di sarcasmo. Altrettanto forti “Il vostro salotto”, dal testo sfrontato e un bel piano in coda, con immutato ritmo e furore. Più rilassati ne “L’assassino”, sia nella musica sia nel cantato pop, a raccontare comunque una vita fuori dai binari e in “Arianna”, rock con psichedelia di fondo con un testo gioioso, divertito/divertente.
Originali nei testi, quanto nel modo di proporsi, gli AABU, lo sono stati anche dal punto di vista grafico/plastico. La copertina di cartone contiene i due dischi, fasciati da un libretto che si apre a foglio A3. Su di un lato la copertina con il pugno giallo che tiene in mano il fiore dello stesso colore, sull’altro lato invece tutti i testi. A vederlo sembra un manifesto politico di qualche formazione extraparlamentare anni ’70, ma restando in ambito strettamente musicale, mi ricorda la grafica di certe copertine della label underground dello stesso periodo, la CRAMPS. Ottima scelta!
AABU, Basta scegliere – Autoproduzione, 2016
https://www.facebook.com/aabuproject
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Wora Wora Washington, Mirror
I Wora Wora Washington sono tornati, più in forma che mai. Il power-duo veneziano, dopo quattro anni dal precedente magmatico “Radical Bending”, produce un riflessivo/riflettente terzo disco intitolato “Mirror” (poteva essere altrimenti?), come specchio che avvicina e allo stesso tempo allontana lo sguardo. Introspezione ed estroversione convivono all’interno dei nove pezzi, tutti scritti da loro, con le parole algidamente ardenti della music-poetess Giulia Galvan.
Personaggi che si muovano in un universo in evoluzione e loro con esso. Come “Alexander Gerst”, pezzo dinamico dedicato all’astronauta tedesco, lo vedrei bene ad animare la disco più alternativa d’Europa in mezzo alle galassie, come la title-track, bella tenebrosa, misteriosa e impegnata, sarebbe un’ottima canzone per il momento topico di un film di Oliver Stone. Interessanti anche “Venus”, finale del disco divertito/divertente, molto anni ’80 (sopratutto nel cantato), dove si può trovare rock ed elettronica fuse magicamente insieme. Da citare assolutamente anche “We Sway”, che mi fa pensare alle musiche futuristiche di Giorgio Moroder, e “Pilars”, rock teso ed elettrico, che cresce d’intensità.
Copertina di culto, con i due Wora Wora Washington visti come astronauti attorno ad una capsula spaziale sovietica anni ’50, autentici ricercatori musicali in microgravità. Troppo bella e rivelatrice quest’immagine: fare una musica nostalgica che guarda al futuro. Sembra una contraddizione in termini, ma ascoltando “Mirror” vi accorgerete che non è così, un altro universo musicale è possibile.
Wora Wora Washington, Mirror – Shyrec, 2016
https://it-it.facebook.com/WeAreWoraWoraWashington/
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Krank, Krank
Esordio al pepe verde di Lorenzo Castiglioni dei Drunken Butterfly, ancora più radicale nei modi, nei testi, e nei suoni della sua band d’origine. Perché un ep? Per l’esigenza espressiva, per dire con poco molto, per testare il nuovo progetto, così ha giustificato la scelta rispondendo alla domanda sul mio blog. Credo sia stata una scelta giusta, visto la consistenza del materiale: pesante, pestante, pregnante.
Cinque pezzi cinque, uno più duro dell’altro. Dal tostissimo brano che apre il disco “Bunker”, sarcasmo a piene mani con un organo che resta e un testo gioiosamente estremista, al pezzo che lo chiude, “La Peste”, che spacca dentro colpendo duro, si respira la malattia, il disgusto, la perdita della speranza di questi ultimi anni. Lucidamente, tipo Il Teatro degli Orrori. Come ascoltando le altre tre: “Carne fresca”, sensuale ipnotico mantra sull’amore insano, “L’esecuzione, oggettino elettrico/elettrizzante tra Brecht e De André dal ritmo sostenuto, “L’onda”, dalle pulsioni elettroniche pesanti e un cantato diretto sull’agonia di un mondo in guerra.
“Krank è un termine tedesco che significa malato inteso non soltanto come aggettivo riferito ad una specifica persona ma anche nell’accezione più complessa di sistema malato. È un nome che mi ha colpito moltissimo e immediatamente. È un nome corto e potente, può essere reso benissimo a livello grafico ed ha un significato che può essere associato sia a me, relativamente alla mia natura in perenne stato di inquietudine, che al sistema che stiamo vivendo ovvero la moderna società capitalistica occidentale.” Così ha presentato il progetto Lorenzo, rendendolo poi in modo impeccabile in musica. Musica Krank.
Krank, Krank – Autoproduzione, 2016
https://www.facebook.com/krankmusic/
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Vox Kernel, Vox Kernel
Rock giovane made in Romagna, quello dei Vox Kernel. Ma, intanto, che vuol dire questo nome dal vago sapore di elettronica? ln effetti, il kernel, costituisce il nucleo di un sistema operativo, però un kernel non è strettamente necessario per far funzionare un elaboratore, ci tengono a sottolineare. Mi piace, sembra quasi una massima zen e questo modo di presentarsi è decisamente in linea con la loro musica.
Solo sette brani per questa terza uscita dei VK in perfetta autoproduzione. Sette brani intensi e dilatati, che crescono piano. Dall’iniziale “Chiara coltre”, alternative-rock dolce ed elettrica, sempre più hard, alla conclusiva “Astenia”, pezzo registrato live (quindi scatenato/scatenate e con un bel testo giovanil/giovanilista), si respira della buona musica giovane. Da segnalare inoltre “Margot”, una storia strana, con una bella progressione grazie ad un impeccabile chitarra e “Busta”, psichedelia diffusa con un bel testo ottimista
Nati nel 2011 come progetto solista, sono cresciuti tra un ep e l’altro, dividendosi in band e in progetto solista, con loop-station elettronico che continua parallelamente. Sembrano avere le idee chiare, amano proposi direttamente, senza troppe interlocutori. Lo spirito è giusto, i margini di crescita ci sono tutti … aspettiamo il primo LP.
Vox Kernel, Vox Kernel – Autoproduzione, 2016
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ED, No Big Deal
Disco diretto e genuino, quello del modenese ED, che ritorna a cantare in inglese dopo la parentesi in italiano di “Meglio soli”. Pop-rock onirico senza tempo, anzi dreampop, come ama definire lui questo “No Big Deal”. Undici canzoni così, romantiche e forti, con voce/chitarra (prevalentemente quella acustica) a narrare storie, qualche volte ben sottolineate dall’organo che fa sempre la sua porca figura. Tutto di un’armonia che incanta.
Un pezzo delicato e rilassato, “The chance to” ci fa scivolare dentro al disco, che poi ci trattiene con la dylaniante title-track senza tempo, per colpirci definitivamente con lo scatenato/scatenate rock’n’roll “Please, have fun!” da torcersi e urlare (letteralmente). Altri pezzi da citare di un disco che merita tutto: “Being young”, dove la voce e la chitarra sembrano una cosa sola, “Modern times”, titolo dell’ep uscito prima del disco, omaggio (indiretto?) a Chaplin, con un organo grandioso nella sua malinconia, “Whatever”, caldo pop-folk da ascoltare sotto le coperte per aumentare il tepore durante le fredde notti d’inverno.
“No Big Deal” secondo ED è nato d’istinto, fatto quasi da solo, con idee veloci e personali, senza calcolare nulla, un quasi “… buona la prima”. Direi che ha dello stupefacente, vista la totale armonia dei pezzi, la bellezza delle melodie, pari alla loro semplicità. Certo, questo è da sempre il segreto del buon rock’n’roll, ED sembra averlo imparato bene. Teniamocelo stretto allora; io intanto rifaccio ripartire il suo disco e mi scaldo …
ED, No Big Deal – Riff Records/Wiener Records, 2016
https://www.facebook.com/edsongwriter
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Rifkin Kazan, Disco solare
Rifkin Kazan da Correggio, luogo mitico per certo rock e certa letteratura giovane. Di quel luogo hanno la sfrontatezza e belle idee, il senso del ritmo e la capacità di mischiare i generi. Con questa loro seconda uscita, “Disco solare” hanno creato un album eclettico ed elettrico, colorato e strambo come la geniale copertina. Buono sotto il lato compositivo, buono per i testi, tutti quanti belli anche da leggere.
“Leve” apre in modo diretto e scanzonato, musica giocattolosa che in parte mi ricorda anche certi Goblin, con un ritornello beffardo da mandare a memoria, “Credo sanguinario” chiude in modo meno diretto, un pop-rock con organo piacevolmente retrò. In mezzo pezzi altrettanto interessanti quali “Ora di scuola”, cantautorato rock straniante e gotico (ancora i Goblin?), e una bella tromba, “Battilo”, pestante pezzo autenticamente demenzial-rock con chitarre tostissime, “Intermezzo”, gioiosa e libera elettronica, con un coretto che sarebbe buono per un natale alternativo.
I Rifikin Kazan con “Disco solare” hanno dato vita ad uno dei lavori più interessanti dell’anno. Rock giovane, per niente carino, per niente educato, un album non banale, che non svela tutte le loro carte … lo faranno in seguito quando saranno famosi. Perché lo saranno …
Rifkin Kazan, Disco solare – Dreamingorilla rec, Cave Canem D.I.Y., La Bassa rec e Nebiolo Rec., 2016
https://it-it.facebook.com/rifkinkazanofficial/
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