Magica Irlanda, preistorica Italia

di Giovanna Donini

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Magica Irlanda, preistorica Italia

All’inizio ridevo. Provavo gioia. Gridavo io sono irlandese. Saltavo. Guardavo il cielo. Nuvole sparite, vento buono, sole intenso, profumo di mare. Mi dicono che là la festa è durata tutta la notte. Che si festeggiava nei pub e per le strade, che tutti si baciavano e le signore anziane facevano passi di danza celtica, mano nella mano, con marito, figli, amiche e tante coppie in lacrime che presto adesso si sposeranno. Mi dicono che i tassisti suonavano i clacson e sventolavano bandiere color arcobaleno per le strade della capitale, come se la piccola Irlanda avesse sconfitto, in finale, l’Italia ai Mondiali di calcio. E penso che in fondo sia un po’ così. Loro hanno vinto, noi abbiamo perso tre a zero. Una vittoria schiacciante che fa vergognare gli sconfitti, perché a giudicarli adesso, dopo la partita, anche se partita non c’è stata, usando la metafora calcistica, l’Italia non si meritava nemmeno di arrivare in finale. Immatura, impreparata, lontana anni luce dalla realtà, preistorica, imprigionata a vecchi schemi e moduli e insomma superata e quindi stracciata da un’Irlanda incredibile, rivoluzionaria e rivoluzionata.

All’inizio ridevo. Gridavo io sono irlandese. Ma sono italiana.

Mi dicono che in Parlamento su 360 deputati 354 hanno votato per il si e allora mi dicono anche che quei sei che hanno votato per il no poi hanno stretto la mano a tutti congratulandosi per la vittoria.

All’inizio ridevo. Poi ho cominciato a stare male. Io sono italiana.

Mi dicono, per consolarmi, che però l’Italia è bella, si mangia bene e la gente è tanto ospitale.

All’inizio ridevo. Poi ho cominciato a piangere a dirotto, facendomela sotto per l’imbarazzo. Che me ne faccio di un posto così bello se non ho la libertà? Che me ne faccio dei migliori spaghetti al pomodoro del mondo, se poi mi restano tutti sullo stomaco.

Che me ne faccio della bella gente che sa gesticolare e cantare e invitarti a cena oppure a dormire se poi io non sono uguale.

All’inizio ridevo. Poi ho cominciato a realizzare le differenze. Io non sono uguale. Io sono un diverso. Un individuo che ha meno libertà di te. Un individuo che non ha la stessa voce in capitolo che hai te. Un individuo che però paga le tasse esattamente come te. Io sono uguale a te solo quando a te fa comodo per il resto io non esisto, io sono un diverso.

Sono come lo schiavo dei secoli passati.

Sono come il nero dell’apartheid.

Sono come la donna che non poteva votare.

Sono illegale come chi non poteva tradire e divorziare.

Sono un individuo diverso, escluso, ignorato.

Io non sono uguale.

All’inizio ridevo. Poi ho guardato in faccia il mio Paese e mi è venuta voglia di scappare. Come scappano quelli che vogliono respirare. Ma non lo farò. Non ti darò questa soddisfazione. Sei un incivile fattene una ragione e io giorno dopo giorno dopo giorno te lo ricorderò, finché qualcosa cambierà.