
Mister Chocolat, il signor cioccolato, non si chiama così perché è un bravo pasticciere: si chiama così perché è nero. Chocolat è un nero nella Francia del primissimo 1900, e all’epoca il colore della pelle era un fatto sufficiente a descrivere completamente la tua persona. Però Chocolat è stato più che uno dei pochi caraibici per le strade di Parigi all’alba del ventesimo secolo: è stato una delle più grandi star dei suoi tempi, che erano molto diversi dai nostri. Al posto dei divi del cinema, c’erano i clown.
Storia vera, quella raccontata nel film del regista/attore Roschdy Zem. Storia di una coppia di uomini del circo, un bianco e un nero, che riescono a cambiare l’arte della clownerie. Storia raccontata con tutti i crismi del biopic, budget sufficiente per scenografie sfarzose, e per assicurarsi due attori capaci di reggere sulle loro spalle l’intero film: James Thierrée e Omar Sy. Il secondo, che interpreta qui il clown Chocolat, è diventato una vera star in Francia dopo il successo di Quasi Amici un paio d’anni fa. Il primo invece è un attore teatrale navigato, qui prestato al cinema con una felice intuizione di casting. E tra l’altro, è anche il nipote di Charlie Chaplin.
Non è stata una cattiva idea, quella di ripescare questa storia dimenticata nelle nebbie della memoria precedente alla prima guerra mondiale: è un racconto che ha davvero tanti punti di interesse, primo tra tutti il discorso sull’integrazione razziale, ovviamente ancora piuttosto attuale ai nostri giorni.
Il regista schiva la tentazione di rendere il suo protagonista un eroe completamente positivo. Chocolat è in effetti vittima tanto quanto carnefice di se stesso. Fosse stato senza macchia, sarebbe risultato davvero poco credibile. Peccato che a essere poco credibile sia, alla fine, tutto il resto del film.
Essere credibile, per un film, non significa necessariamente essere realistico, no? Anche un uomo che si arrampica sui muri, o uno che vola col mantello, può risultare credibile se è raccontato nel modo giusto. Invece il paradosso di Mister Chocolat è che una storia vera risulta poco credibile. Come se il regista non riuscisse a farci togliere gli occhiali da uomini del Duemila per farci inforcare quelli ottocenteschi. Le emozioni al cinema sono finte, per carità, ma bisogna saperle creare. Altrimenti un film diventa solo il percorso da A a B, senza neppure un paesaggio interessante da guardare attraverso il finestrino durante il viaggio.
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