
Sono passate circa quattro settimane dall’uscita di Mortal Kombat X. Settimane in cui il gioco ha venduto più di ogni altro nel mondo, superando long-seller come GTA V e best-seller come Battlefield: Hardline. Settimane in cui ho passato più tempo del solito con il pad in mano. A molti amici è capitato lo stesso, nonostante, tutti quanti, abbiamo già passato la trentina. Strano, in effetti: si dice in giro che oltre una certa età si finisca con il giocare solo a giochi molto semplici dal punto di vista della coordinazione psicomotoria, molto rilassanti o molto narrativi. Ma forse è solo un luogo comune.
Fatto sta che Mortal Kombat X non appartiene a nessuna di queste categorie. Non è granché narrativo, anche se rispetto al solito gli sviluppatori di NetherRealm Studios (piccolo memo per i trentenni: sì, la Midway Games ha chiuso i battenti da almeno un lustro, ragazzi) hanno provato a imbastire una specie di soggetto e una specie di sceneggiatura, entrambi con più buchi dei maglioni vecchi di mezzo secolo che mia nonna si ostina a non voler buttare via. Non è granché rilassante, no, per niente. Non è affatto semplice dal punto di vista della coordinazione psicomotoria: chiedete a qualsiasi nato negli anni Ottanta che si sia trovato a combattere online contro chi ha la metà dei suoi anni, e a subire cocenti sconfitte flawless. Eppure, tutto è perfettamente bilanciato. Milioni di giocatori medi come me finiranno ogni giorno a pulire con la faccia il pavimento del tempio Lin Kuei di Sub-Zero, messi sotto dai veri professionisti, che si riconoscono lontano un miglio dal fatto che generalmente usano Kung Lao – uno dei personaggi più improbabili della serie, monaco cinese ma dotato di un cappello a tesa larghissima non proprio tipicamente shaolin – oppure Kung Jin, nipote del primo, ma anche primo personaggio gay (ok, la cosa non è proprio esplicita, ma comunque…) della serie. Sospetto non sia questo il motivo per cui è tanto amato dai professionisti di Mortal Kombat X, quanto piuttosto per un mix di caratteristiche come velocità, range delle mosse, danno inflitto. E le combo inarrestabili, ovviamente. Ma non vorrei esagerare con le nerdate.
Torniamo piuttosto ai sentimenti. Se qualcuno fosse nato insieme a Mortal Kombat, oggi avrebbe 23 anni. Io, ai tempi del primo coin-op nelle sale giochi, ai tempi della Fatality di Sub-Zero che strappava testa e spina dorsale al suo avversario, ne avevo già dieci. Ho visto tanti Mortal Kombat. Troppi, pensavo.
E invece l’hype mi ha preso in pieno, è bastato guardare (su youtube, che si tratta di roba americana, beninteso) quello spot con la gente che si precipita a vedere Scorpion combattere per strada, sulle note dei System of a Down (e pensare che non mi piace neppure, il metal). Sono sentimenti che non riesci a controllare, l’attesa e poi la soddisfazione di giocare. E che sono rimasti pressoché immutati nel corso degli anni. Insomma, Mortal Kombat X è meglio di un lifting, se avete un’età. Quanto possa essere bello vederlo per la prima volta nel 2015, invece, posso solo immaginarlo.
Ma immagino molto.
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