Dopo la tappa milanese, sbarca a Roma la prima antologica dedicata all’artista trevigiano, a sessant’anni dalla morte. Oltre cento capolavori che arricchiscono l’analisi del suo percorso. La tensione verso il mistero. Arturo Martini, (Treviso, 1889 – Milano, 1947)è forse il più grande scultore italiano del Ventesimo secolo. Il talento versatile, e per certi aspetti rivoluzionario dell’artista, ha atteso sessant’anni prima di essere riconosciuto e valorizzato appieno. Dopo la tappa milanese alla Fondazione Stelline e al Museo della Permanente, la grande antologica arriva finalmente a Roma e con delle novità.
La mostra romana include circa cento opere realizzate per la maggior parte durante i soggiorni dal ‘21 a Roma -dove Martini si unisce al movimento Valori Plastici-, e a Milano dal ‘33. Le sculture provengono anche dal Museo Civico Luigi Ballo di Treviso, dalle Civiche Raccolte di Milano e da importanti collezioni private. Alcune sono pezzi inediti e a volte grandi esecuzioni sono poste a confronto con bozzetti preparatori. Tutto con lo scopo di evidenziare le componenti che hanno reso unico Martini nel suo rifiuto di ogni schema, pur restando all’interno dei temi del cosiddetto “ritorno all’ordine” con l’uso di materiali e tecniche tradizionali (bronzo, pietra, terracotta, gesso). Senza rinunciare alla sua dedizione per ogni forma plastica del passato, dagli egizi agli etruschi e ai greci, dal Duecento al Quattrocento, dal Bernini al Canova. I personaggi descritti da Martini sono assetati che cercano affannosamente l’acqua, donne in attese disperate, pastori che si protendono verso il cielo. Comune denominatore in tanti soggetti è di fatto, “la tensione verso un sogno, verso un ideale, verso il mistero”, rileva Elena Pontiggia, curatrice della mostra insieme a Claudia Gian Ferrari e Livia Velani.
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