L’Estate dell’Alligatore Atto II

di L'Alligatore

Recensioni
L’Estate dell’Alligatore – Atto II

I John Malkovitch! sono la nuova cosa interessante proveniente dall’universo underground. Vengono dal centro Italia, precisamente da Todi, e hanno dato alle stampe un disco d’esordio autenticamente alternativo. Prodotto da I Dischi del Minollo più altre realtà di nicchia a partire dal collettivo “Augen, Licht” del quale fanno parte, “The Irresistible New Cult of Selenium” è un album strumentale, con quattro pezzi che si dilatano nella mente per 50 primi di musica. Dall’inizio psichedelico “Darker Underneath The Surface”, calmo ma con staffilate rock elettrizzanti al finale scintillante “Nadir”, teso e sperimentale, è un crescendo di emozioni soniche. “Twice In A Moment, Once In A Lifetime”, il secondo pezzo, sale inesorabilmente, e senti che è stato registrato in presa diretta. Con “Zenit” raggiungono la dilatazione massima, grazie a una tensione che lascia il posto al rilassamento continuo, i volumi sempre più alti … 13 minuti e passa così. Se volete capire cosa è l’underground italico vero, ascoltate i John Malkovtich! (il punto esclamativo fa parte del nome, ma se non ci fosse stato l’avrei messo io stesso).

 

Con una copertina così gradevole, da western, che fa il paio con il titolo “Lei ha una pistola”, il disco dei Fargas potrebbe far pensare a qualcosa di folk-rock-country-western. In realtà non c’è nulla di tutto ciò, la cover è un vecchio disegno della prozia dell’autore, voce/chitarra dei Fargas (Luca Spaggiari), ritrovato su di un libro di studio francese anni ’30, mentre il titolo si riferisce ai rapporti problematici di Luca con le donne. “Lei ha una pistola” è un disco di rock cantautorale. Lo si capisce fin dalla prima canzone “A lungo”, classico pop-rock tra Dalla e De Gregori, con hammond e chitarre elettriche che cullano. Ma anche dalla seconda, “Vacuità”, lenta riflessione ironica alla Rino Gaetano, o dalla terza, “Ore otto”, malinconico pezzo da cantautore di razza con un testo da mandare a memoria e il piano a duettare magnificamente con la chitarra. Sulla stessa lunghezza d’onda “Popolari animali”, intenso piano/voce con il ritmo e le parole da scrittore rock surreale quanto impegnato. Ma tutto il disco è pieno di rimandi, ricordi, malinconie della nostra migliore musica d’autore. Pure il barbone di Luca è da cantautore classico di protesta. Motivo in più per ascoltalo.

 

Maria Devigili è una giovane cantautrice italiana, una trentina giramondo con tre bei dischi all’attivo: “Motori e introspezioni” del 2012, “La trasformazione” del 2015 e un nuovo album uscito a febbraio di quest’anno, “Tempus Fugit”. Un album con una tematica importante, quale il tempo, che richiamando la saggezza della filosofia latina, Maria ci invita a non esserne schiavi. Lo fa con ironia e spirito rock, con la musica e le parole giuste. Parole giuste da mandare a memoria nella title-track, ritmica e filosofica, o nella malinconica (sembra Bianconi) “Inconsapevoli”. Troviamo consigli preziosi anche in “Il presente”, una filastrocca breve ma significativa, oppure in “Ho visto”, cantautorato classico con chitarra acida, e in ”Arcaico futuro”, labirintica apertura del disco, senza perdere l’ironia …
“Tempus Fugit” gode in parte della produzione artistica di Giuvazza, chitarrista di Eugenio Finardi, ed è il disco n. 50 della Riff Records, etichetta indipendente di Bolzano. Un bel traguardo, raggiunto con l’album giusto.

 

Beatrice Antolini con “L’AB” ha fatto un cd che parla a noi, pur essendo un prodotto intimo e personale, scritto, cantato, suonato e prodotto tutto da lei. “Da sola nel mio studio come un topo”, mi ha detto nell’intervista sul mio blog. Ne è uscito un album denso, teso a denudare la società dei social, senza salire in cattedra, ma perdendosi in essi. La copertina, meravigliosa opera di Dorothy Bhawl, fortemente voluta dalla Antolini, ben lo rappresenta: la sessualità femminile ridotta a simboli emoticon. Essenziale, sensuale e fredda come i nove pezzi di “L’AB”. Come “Second Life”, primo singolo dell’album, un voce/piano, che sembra un classico pop-rock fin dal primo ascolto, come “Until I Became”, brano dazereccio perturbante, o il suo gemello più alternativo “What You Want”. Ma pezzo dopo pezzo i suoni si fanno più cupi, fino a “I’m Feeling Lonely”, glaciale, da fiaba moderna, con Beatrice a fare più voci su di un tappeto di soffice elettronica giocattolosa, e al finale dilatato “I’m Feeling Lonely”, che inquieta. Produce La Tempesta.

 

I Nuju sono stati l’unico gruppo italico presente all’edizione 2018 dello Tiszavirag Fesztival di Szolnok, Ungheria, punto di riferimento per il folk europeo da tredici anni a questa parte. Se lo meritano, perché il loro recente disco “Storie vere di una nave fantasma”, è un concentrato acido di potente folk-rock cantato in italiano (ma non solo, anche calabrese, tedesco, greco …), ritmi sostenuti su argomenti scottanti per far riflettere ballando tra ska, combat-rock, world-music. Non a caso tra gli ospiti ci sono Cesko de Après la Classe e Moneti de La Casa del Vento e MCR, non a caso le loro immagini surreali conquistano. Penso a “Pagliaccio” storia drammatica dedicata a Anas Al Basha, il pagliaccio di Aleppo, morto sotto i bombardamenti nella sua Siria, penso ad “Arrivano dal mare”, pezzo attualissimo sul dramma dell’immigrazione, voce piano chitarra a narrare il dramma delle morti in mare con giusta passione civile, penso a “Glück” (fortuna in tedesco), coinvolgente brano sulla nostra immigrazione, alla ricerca della fortuna in Germania, o a “Carillon”, malinconico e surreale rock, con organetto, e chitarre a manetta, sulla frenesia del divertimento.
“Balla adesso, è uno spasso, balla, balla a più non posso …” fatelo con le potenti canzoni dei Nuju.