
Nesli è uscito a marzo con un singolo che parla di bullismo e si intitola “Immagini”. Le rime chiave sono: “Mi ricordo i più piccoli, i fragili, coi vestiti di un altro addosso / che sembravano bagnati fradici anche nel mese di agosto”. Partiamo da quella frase.
Smemoranda: È un tuo ricordo di infanzia preciso?
Nesli: Sì, è proprio così. Faccio una premessa. Io sono sempre stato sensibile al mondo degli “indifesi”, chiamiamoli così, quelli che si sono ritrovati a essere soli, fragili e poveri. Mi ricordo quando ero piccolo e andavo con mia mamma per le vie del centro e vedevo un mendicante, la obbligavo a lasciargli un’offerta. Io ho sempre trovato strano, per non dire sconvolgente, che per la società fosse normale che ci fossero persone che soffrivano delle ingiustizie e che si dava per scontato che non ci fosse nulla da fare. Quella frase di cui parli nasce dai miei anni di scuola. Io sono uno pluribocciato, quindi di classi ne ho cambiate tante, avevo spesso compagni che venivano da famiglie disagiate… li vedevi che avevano i vestiti dei fratelli più grandi, oppure fuori moda. I miei avevano un negozio di abbigliamento e quindi io sapevo sempre cos’era alla moda, per questo mi è rimasto impresso questo dettaglio, mi immedesimavo in loro e mi faceva star male, perché quei compagni venivano derisi, oltre a essere già sfortunati nella vita. Spesso si passava a scherzi brutti, verso quei ragazzi. Ricordo che c’era un corridoio strettissimo in cui dovevi passare, al liceo… io ero al primo anno, e quelli di quinta in base a chi eri ti riempivano di schiaffi e calci. Oppure, mi ricordo le gite: quando in camera c’era il ragazzo con poche possibilità economiche, arrivavano le battute, gli scherzi sui vestiti. Quindi la canzone non parla di me, parla di loro, parla di chi subisce angherie, di chi le fa, e di chi sta a guardare.
Tu negli anni della scuola hai subito una qualche forma di bullismo? Bullismo fisico o psicologico, cioè quello dell’esclusione?
Ma guarda, io ho sempre avuto da ragazzino la fortuna di avere molti amici (a differenza di oggi, che sono diventato più orso). Però sì, mi sono trovato a subire aggressioni fisiche. C’era una ragazza al liceo che era fidanzata con il bullo del paese, che pestava chiunque. Io e lei ci eravamo invaghiti l’uno dell’altra, e lui me la faceva pagare ogni volta che poteva. Non ti dico le volte che ho evitato di andare a scuola per non prendere le botte, gli agguati che mi tendevano. Ne ho scampate davvero tante. L’isolamento, invece, quella che tu chiami esclusione, l’ho vissuta poi da adulto, quando ho cominciato a entrare nel mondo della musica: cambi città, devi cominciare una nuova vita. E il senso di isolamento non ha età. Però se lo cavalchi, poi alla fine ti torna utile dal punto di vista creativo.
C’è un passaggio della canzone che può essere letto in modo duplice. La strofa è quella in cui dici “perché è la violenza che da sempre ci separa e la strada che facciamo soli non ci unisce / da una parte resta solo chi sceglie di usarla e dall’altra c’è una vittima che la subisce”. Da un lato la vittima, che crescendo si porta dietro le ferite come fosse adesso. Ma dall’altro anche il bullo, che crescendo fa i conti con se stesso e capisce che è triste la separazione fra lui e la vittima. E poi c’è un terzo elemento, la strada che bullo e vittima fanno da soli, che non li unisce perché forse nessuno gli ha insegnato ad avvicinarsi quando era il momento opportuno. È così?
È esattamente così, e questo è il bello della musica, che poi prende la sua strada nelle persone che la ascoltano. Aggiungerei questo: che nessuno gli ha insegnato, a bulli e vittime, che poi non sono tanto così diversi, e che gli anni rovinati dal bullismo sono una menomazione sociale per tutti, perché impediscono ai ragazzi coinvolti di fare le esperienze belle e giuste al momento giusto. Quelle che ognuno dovrebbe godersi alla sua età. Il problema è che in fondo non è nemmeno una colpa loro, nel senso che se nessuno gliel’ha insegnato, a rapportarsi con gli altri… voglio dire, se i ragazzi hanno avuto l’esempio sbagliato, o non gli è stato dato alcun esempio, è colpa dei singoli o è un problema collettivo?
Vero, è quello che dici in un altro punto del testo, che ci riporta alla realtà nuda e cruda, quando dici: “È irreale, che nessuno si accorga di quanto ti faccia male / dalla scuola al campetto al primo assistente sociale”. Mi sembra una critica forte al mondo degli adulti, della scuola. Secondo te questo mondo ha delle responsabilità nella diffusione del bullismo oggi?
Bè, la responsabilità è indivisibile. Sì, c’è. E ha due nomi: l’indifferenza e la mancanza di controllo. La scuola è il primo posto dove tutto questo problema è amplificato, e anche dove si dovrebbe monitorare. Siamo tutti però responsabili. Prendi i social. Non c’è limite a quello che si può vedere, per gli adolescenti. Droga, sesso, violenza. Non parlo di moralità o di censura, figurati, sono un artista. Ma di gusto, di senso civico, che si è perso e non viene nemmeno la voglia di insegnarlo. Poi non ci stupiamo se alcuni ragazzi lanciano i cestini dei rifiuti contro i professori, o gli urlano addosso come fossero i fratelli, e postano i video e noi li guardiamo come fossero l’ultimo video di Ed Sheeran. Quindi forse siamo responsabili tutti.
Il discorso sui social è molto ampio. Ormai si è abbassata l’età a cui un bambino riceve lo smartphone dai genitori, e se in classe tutti hanno il cellulare, come fa un papà a dire di no? Vorrebbe dire farlo sentire un escluso. Tu cosa ne pensi?
Guarda, è un po’ come la televisione quando eravamo piccoli noi. La differenza che passa fra un ragazzino che è cresciuto con dei genitori che lo mettevano davanti alla televisione per star tranquillo, e un ragazzino che o non aveva la tv in casa o la poteva vedere tassativamente solo pochissimo tempo… ecco, questa differenza la vedi in un adulto. E poi, a 15 anni perché devi fare il muser o la muser, tutta carina e ammiccante? Per avere il tuo pubblico? A 15 anni fa bene al tuo ego esibirti davanti allo schermo per dei fan che non conosci? Vai a fare sport, studia musica, esci con gli amici. La domanda è: perché a questa età hai questa esigenza di fare la star? Da dove l’hai presa?
Sei molto critico sui social.
Sì, infatti io li proibirei ai minorenni. Tu la tua pagina Instagram se sei minorenne non la apri. Tu che hai 10 o 12 anni, perché devi avere il cellulare per vedere canzoni di cui non capisci davvero i testi? Lo so che può sembrare un discorso assurdo. Però paradossalmente è un esempio estremo. Bisognerebbe costringere i ragazzi a fare altro, a riscoprire la socialità, l’arte, il cinema.
Ecco, a proposito di arte, ti volevo fare un’ultima domanda che riguarda l’arte, cioè il potere della musica, nel tuo caso, di far superare il dolore intimo trasformandolo in messaggio per tutti. Non solo il bullismo è più diffuso di quanto si pensi, ma anche i personaggi celebri ne sono stati spesso colpiti. E tutti, ognuno a suo modo, hanno metabolizzato il senso di umiliazione, di isolamento, di rabbia per la violenza psicologica subita, attraverso l’arte.
Certo, più che aiutare l’autostima, può formarla. La violenza psicologica questo fa, crea un meccanismo mentale per cui il senso di colpa per quello che subisci si somma alla situazione che non hai scelto. L’arte direi che è come lo sport, ti crea una disciplina, e questo aiuta. Ti dà la cosa che ognuno cerca, cioè uno scopo, capire chi sei veramente. Solo che lo sport aggrega e l’arte isola. Però il rischio è che, se ti isoli troppo, può risultare rischioso quando sei già messo in difficoltà dal bullismo. Anche perché 1 su 100 diventa un vero artista, gli altri no. Ma in ogni caso, se sei un ragazzino che si sente non accettato, non parla con i genitori, non ha veri amici… ecco, se trovi una forma di espressione in una qualche forma d’arte, quella per te diventa una religione, la cosa che ti fa stare meglio. Quindi, sì, ben venga l’arte come antidoto alla mancanza di stima che poi crea il terreno fertile per il bullismo, soprattutto quello psicologico.
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