Il 19 luglio è un giorno impresso a fuoco nella memoria del nostro Paese. Sono passati 28 anni, i ragazzi di allora potrebbero essere oggi genitori, i ragazzi di oggi forse non erano ancora nati, ma il 19 luglio 1992 successe qualcosa che sconvolse l’Italia e gli italiani per sempre: la strage di Via D’Amelio in cui perse la vita – dopo appena 57 giorni dall’attentato a Giovanni Falcone – il magistrato antimafia Paolo Borsellino.
Per ripercorrere la sua storia e le vicende che resero prezioso e straordinario il lavoro del pool antimafia di Palermo, Feltrinelli pubblica “Paolo Borsellino parla ai ragazzi”, un libro di Pietro Grasso, magistrato e giudice nel primo maxiprocesso alla mafia, con fotografie, le illustrazioni di Francesco Camporeale e una bella introduzione di Pif che prende a piene mani dalla cronaca e che, a un certo punto, dice più o meno così:
Al contrario del coronavirus «La mafia, invece, non è di origine naturale. Quando comparve sulla Terra l’umanità probabilmente c’erano già gli alberi, i prati, i mari, le montagne, ma non la mafia, perché quella sì che è stata creata dall’uomo. Infatti abbiamo trovato orme secolari di dinosauri, ma mai di mafiosi. Ed essendo stata creata dall’uomo, la mafia può essere distrutta, ma a una sola condizione: bisogna avere voglia di distruggerla. Il vaccino antimafia esiste da tanto tempo. Per esempio, basta leggere e mettere in pratica le parole scritte in questo libro».
Dopo aver ripercorso i fatti che, come piccoli semi, fecero fiorire la cultura della lotta alla mafia, portando anche a tragiche conseguenze per coloro impegnati in prima linea, Grasso riprende una lettera che Borsellino stava scrivendo agli studenti di una scuola di Padova, che iniziò proprio la mattina del 19 luglio e che non riuscì mai a finire
- Come e perché è diventato giudice?
- Cosa sono la Dia e la Dna?
- Che differenza c’è tra mafia, camorra, ‘ndrangheta e sacra corona unita? Quali sono stati i rapporti tra mafia italiana e mafia americana?
- Quali sono i suoi compiti alla Procura di Palermo?
- Cosa replica a chi l’accusa di “professionismo dell’antimafia”?
- Come ha influito nei rapporti con la sua famiglia il suo essere un giudice del pool antimafia?
- Cosa ha provato quando nell’85 ha dovuto lasciare Palermo?
- E cosa quando ha dovuto pagare il conto per il suo soggiorno all’Asinara?
- Che tipo di collaborazione vorreste da noi giovani?
Sono dieci le domande che i ragazzi fecero a Borsellino 28 anni fa. Il giudice si fermò alla risposta numero tre, prima di perdere la vita per colpa dell’autobomba in Via D’Amelio.
«Dopo quasi trent’anni riprendo simbolicamente la penna di Paolo per aggiornare le tre risposte scritte da lui quel 19 luglio e completare quelle rimaste in sospeso alla luce dei cambiamenti avvenuti, dei miei ricordi e dell’esperienza personale, che nel tempo mi ha portato a ricoprire sia il ruolo di procuratore della Repubblica di Palermo che quello di procuratore nazionale antimafia».
Sono passati quasi trent’anni. Tanti, pochi, non è questo il punto, perché:
«Quelle degli anni novanta del secolo scorso sono state le ultime bombe di Cosa nostra. Ora la mafia non spara quasi più, gli omicidi sono rari. Ma non per questo possiamo pensare di averla sconfitta. Continua a fare affari, si infiltra nell’economia nazionale e internazionale. Dobbiamo mantenere la guardia alta, stare attenti, denunciare se vediamo qualcosa di illegale, partecipare alla vita delle tante associazioni antimafia che sono nate in tutto il Paese».
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