Erano ormai cinque anni che Mario Liston si era rifugiato in una frazione di poche case ai piedi del Monte Gelato.

Quando scendeva a fare compere a fondovalle, pagava sempre in contanti. Mai visto Mario vicino al bancomat in piazza e, una volta che gli sentii ronzare il cellulare, mi disse che non rispondeva mai alle telefonate anonime. “Vedi, boy, lo faccio per prudenza. Anche se il numero che ho adesso non è più quello di prima, quando facevo la bella vita. Sai mai che qualche stangona bionda che non vedo da secoli abbia avuto una soffiata e voglia rompermi le balle…”

Doveva essere stato uno sbruffone seriale, da ragazzo, e anche adesso che aveva i capelli grigi e viveva praticamente in esilio, non mancava mai di raccontarmi di quella volta che era stato a sciare con un politico a Sankt Moritz, o di quell’altra che, insieme a una giovane attrice oggi famosa, aveva traversato il Mediterraneo a vela.

Tu ci sorridevi, e in ogni caso erano confidenze fra un uomo di cinquant’anni e il suo tabaccaio, non racconti gridati nel bel mezzo del bar. Lì, si limitava a bere in fretta il suo caffè senza zucchero, pagava e via, senza mescolarsi alle chiacchiere dei vecchi del paese.

Poi risaliva sulla Panda a trazione integrale che gli aveva venduto mio zio quando era arrivato dalle nostre parti. Puntava la salita del Monte e, tutto in prima e in seconda, tornava su a casa.

Mi stava simpatico, Mario. Che avesse o no qualche debito in giro con la gente sbagliata, come mormoravano le comari, a me non poteva importare un fico secco.

Per scovarlo lì da noi, in ogni caso, avrebbero dovuto organizzare un’operazione in grande stile. Roba da esercito, non da malavita del cavolo, e infatti nessuno lo era mai venuto a cercare.

Poi, verso metà aprile di due anni fa, capitò una strana cosa.

Posso dire con certezza anche il giorno: era una domenica, perché noi della squadra eravamo tutti riuniti all’Elfo, il pub dello stopper Angeloni, a festeggiare la storica vittoria nel derby del giorno prima, un sette a zero ai biancorossi del Borgo di Mezzo che l’intera vallata non avrebbe dimenticato tanto in fretta.

…D’accordo, era solo un incontro valevole per la terza categoria, ma ho ancora il trafiletto dall’eloquente titolo Vigor senza pietà contro il BiDiEmme, e vi assicuro che, quando ripensano a quel pomeriggio, giù a Borgo piangono ancora.

All’Elfo, invece, si scandivano cori e si beveva birra cruda. Tenevano banco le solite allegre sciocchezze: le barzellette del portiere Rulli e l’ennesimo scherzo ai danni di “Salsiccia” Monetti, il più giovane della compagnia, poi le confidenze del bomber Testani sulla sua ultima avventura amorosa, così spettacolare e promiscua da apparire – anche stavolta – inventata di sana pianta.

Per tutti loro ero “il Tabak”, e la mia era la maglia numero 11.

Ma vengo al sodo: si era fatta sera e i primi avevano già cominciato a rincasare, quando si sente lo stridore d’una frenata, fuori in strada, seguito dal sound disastroso della lamiera che cozza contro qualcosa di solido.

“Quest’è stato un bel botto!” ha commentato il portiere Rulli dopo un istante in cui ci siamo guardati l’un l’altro, sbigottiti, e poi stavamo correndo tutti fuori dall’Elfo.

“Serve aiuto, signore?” gridava “Salsiccia” Monetti verso il profilo immobile dell’ex Panda di mio zio. In fondo a via Roma non aveva curvato, e il muso si era andato a incastrare fra i due paracarri del sagrato, a venti passi dai gradini della chiesa, come se il guidatore avesse perso completamente il controllo per un colpo di sonno.

Invece Mario Liston scese dalla macchina sulle sue gambe, e contemplò il disastro con un sorriso beffardo.

“Non ne potevo più, boys” disse soddisfatto. “Ma adesso è finita, sì. Verranno i vigili e mi dovranno identificare per forza”.

“Allora hai fatto apposta”, disse perplesso il bomber Testani.

“Certo! Con rispetto parlando, ho tagliato le comunicazioni con la civiltà da un po’ troppo tempo. E ora invece controlleranno i miei precedenti e saranno costretti ad arrestarmi! Tornerò a esistere, capite? Qualche mese dentro, e poi ricomincerò a vivere!” Sembrava felice.

Nel poco tempo che trascorse prima dell’arrivo del babbo di Rulli in divisa da poliziotto municipale, Mario Liston ci raccontò quel che aveva tenuto nascosto cinque anni: non era con la Mala, il suo debito, ma solo ed esclusivamente con lo Stato.

A questo punto dovrebbe avere espiato la sua pena e, se è ancora al mondo come gli auguro, scommetto che prima o poi cederà alla nostalgia, e lo vedremo ripassare da qui.


Enrico Brizzi


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Smemoranda 2009


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