Bill Lecapiten era l’unico a non bere birra nel bar dei “top gun” appena fuori dalla base e se non fosse stato per il berretto, i Ray-Ban e i capelli da collegiale come il giovane Törless poteva sembrare un qualsiasi boscaiolo o contadino che andava a ubriacarsi nel bar del paese.
Francese e innamorato l’indomani doveva partire in missione. In realtà all’alba tutto lo stormo sarebbe partito per l’Inghilterra e da lì segretamente, come cavalieri dell’apocalisse, a bassissima quota avrebbero volato a “pelo di mare” per bombardare un rifugio segreto di un paese segreto dove sembrava certa la presenza di terroristi. Non era guerra, non si doveva sapere, non lo sapeva neppure Marianne. Questo fatto da un certo punto di vista rendeva tranquillo Bill, ma da un altro lo rattristava perché il loro amore era più forte di ogni segreto militare, di ogni strategia, era a prova di ogni tradimento e di tutte le gelosie.
Si può ancora amare così senza ritegno alla fine del secondo millennio? Tra grattacieli di cemento e porte blindate, lontano da ceppi scoppiettanti di fuochi accesi nella notte? Si può, nudi sotto pelli pesantissime di animali conquistati e uccisi, abbracciarsi sotto il freddo delle stelle fino a trafiggere la notte come due spade sguainate o schegge di pietra spezzate da un fulmine del cielo? Ora, non visto, doveva bombardare, uccidere, cancellare un nemico che non conosceva e che forse non c’era o c’erano solo i suoi figli protetti da leggere tende di seta tra bivacchi di cavalli che avrebbe voluto lui stesso cavalcare o accarezzare e parlando loro all’orecchio…
Ma basta, l’ora era arrivata e si trovava con altri compagni nel semi buio dell’alba che arrivava o della notte che finiva con in mano nulla se non una moneta da 10 franchi che non abbandonava mai.
Mentre l’aereo volava la mente di Bill era libera, libera come non lo era mai stata; anzi, per qualche attimo, quello che vedeva fuori dall’aereo era esattamente quello che sentiva dentro di sé.
Volava così basso che gli sembrava di sentire gli spruzzi delle onde sbattergli in faccia e di sentire l’odore del mare entrare salato nella carlinga. Meccanicamente cercò il tergicristallo, una fermata dell’autobus, l’edicola dove comperava il giornale e un pacchetto di Gitanes, ma poi vide solo il pollice sull’ok dell’altro pilota che lo risvegliò da un sogno comatoso e, se non fosse stato per il silenzio radio, avrebbe cercato subito di testare la sua voce per vedere se era sempre la stessa e se lui era sempre lui o chissà chi altro o che cosa altro era entrato nell’aereo e dentro il suo corpo.
Quale spirito furbo e maligno si era impossessato di lui e cosa aveva da proporgli? Forse, pensava, era semplicemente la morte che fin dalla nascita accompagnava sempre i Druidi preparando loro ogni notte il letto e aspettando l’alba in silenzio accucciata nell’angolo più buio della stanza.
Sentiva lo spazio che lo divideva da Marianne ormai incolmabile. Non era solo una questione di distanze ma una lunga coda di secoli, millenni, anni luce che mischiandosi tra di loro dividevano lui che era dentro l’aereo dalla sua casa nel bosco e da lei che lavorava tra i campi o nel pascolo con gli animali. Diede un’occhiata alla strumentazione, controllò il piano di volo e mentre alzava gli occhi verso le stelle (mai così vicine e irraggiungibili) perse il senso dell’aereo. Non lo aveva mai sentito così debole e provvisorio, capì che chissà per quanto tempo ancora avrebbero volato meglio di lui più liberi e più leggeri gli uccelli, si dissociò dalla macchina di morte che lo trasportava e con tutta la tranquillità spiritomeccanica che gli era venuta staccò il computer, tirò la cloche e uscì dallo stormo virando con la semplicità dei gabbiani quando prendono il vento senza muovere le ali. Sganciò in mare tutto il carico di bombe, disarmò i missili intelligenti che smisero immediatamente di pensare e puntò in alto il muso dell’aereo, verso le stelle più lontane. Con gli occhi abbagliati dalla sua mente Bill vide in un istante passare galassie e future astronavi dentro enormi spazi cosmici e corridoi interstellari, arrivò così in alto da superare ogni limite consenstito, spense il motore e, finalmente, ascoltò il vento e si sentì leggero come una foglia.
E chissà per quale scherzo del tempo o da quale buco del cielo l’aereo con Bill dentro passò continuando a scendere cambiando continuamente colore: dal rosso arroventato passò al verde malinconia fino a diventare polvere d’argento che è il colore delle stelle quando cadono nelle sere calde d’estate. Bill arrivò a terra come uno di loro, si risvegliò sdraiato e bambino vicino al “bosco invisibile” a due passi da casa, rimise la fionda nella tasca posteriore dei pantaloncini, guardò per un attimo ancora il cielo e, fischiettando chissà quale vecchia canzone, aprì la porta di casa ed entrò.