L’uomo insegue, una dopo l’altra, le gocciole di pioggia fastidiosa, brulicanti sul vetro, non riesce a vedere la strada perché la scena di quelle instancabili scivolatrici lo ipnotizza. L’uomo ha quarantotto anni e stamattina hanno portato sua moglie al manicomio, il Novecento ha vagito per dieci anni e presto si darà da fare per combinare un bel po’ di casini mondiali.
Intanto l’uomo pensa ai suoi, di casini, alle pagine consegnate, alle pagine da consegnare. Ha firmato per otto romanzi quest’anno ed è solo al primo e gli è già passata la voglia. Non sa dire chi busserà alla sua porta oggi pomeriggio, forse sarà un galoppino dell’editore che verrà a ritirare la cartella settimanale, o forse sarà l’editore stesso che verrà a fargli la solita ramanzina sul ritardo delle consegne, gli dirà che gli impegni sono impegni, che la vita privata non deve interferire su quella dello scrittore, non per quanto riguarda le consegne almeno.
O forse arriveranno gli uomini che teme di più. Sono essi scuri corvi con la cartella sotto il braccio, hanno in mente i numeri, le sottrazioni e le divisioni, hanno in mente le tasse che non hai pagato. Essi arrivano all’improvviso, accompagnati dai gendarmi e possono anche metterti in prigione.
L’uomo ha finito tutti i suoi soldi in medicine e ricoveri e la moglie al manicomio, diciamolo come va detta, è una liberazione. Pensa a tutto questo mentre siede allo scrittoio e comincia a vergare con la consueta scrupolosità.
“… Sandokan scese dalla ripida scala e in un baleno brandì la scimitarra…”
In un baleno… in un lampo, sì forse è meglio un lampo, un baleno gli ha sempre dato l’idea di qualcosa di grosso, di grasso, di poco agile… ma piuttosto che la scimitarra è meglio il coltello, sì, Sandokan si è sempre trovato meglio con il coltello. E dunque Sandokan scese dalla ripida scala e in un lampo brandì il coltello… no, il coltello s’impugna, non si brandisce. Avanti di questo passo riuscirà a scrivere solo due romanzi quest’anno, altro che otto. E poi Sandokan non è certo così imbranato, che diamine, no! Sandokan, col coltello in pugno, si buttò giù dalle scale e in un lampo fu sul soldato, il quale capì che era spacciato, e dunque… e dunque… 
Le palpebre dell’uomo scivolano come un sipario sulla stanza semibuia, l’unica abitata del suo appartamento a pigione. L’uomo raggiunge il divano col passo di un vecchio. 
Ora dorme, sì, dormire.
Lo sveglia all’improvviso un fracasso d’inferno. Qualcuno bussa alla porta senza controllare la forza del proprio pugno. L’uomo si avvicina alla finestra e vede un corvo scuro accompagnato da due guardie con l’aria feroce. Gli chiederà i soldi per le tasse di quest’anno e anche quelli per le tasse dell’anno scorso, ma l’uomo si è già mangiato anche i soldi per le tasse del prossimo decennio.
“Lo sappiamo che è in casa, signor Salgari! Apra questa dannata porta e ci faccia entrare, ho un’ingiunzione che mi permette di portarle via i mobili”
“I mobili non sono miei, andatevene!”
“Ci sono i mobili di sua moglie, signor Salgari, non mi faccia dire queste cose in strada”
“Andatevene! Non ho più niente!”
“Saremo costretti a sfondare la porta, signor Salgari”
“Parlate col mio editore, lui mi deve un anticipo, chiedete a lui”
Il corvo scuro non parla più, ora confabula con le guardie le quali si apprestano a sfondare la porta. L’uomo trascina a fatica un vecchio comò contro la porta d’ingresso e poi va nello sgabuzzino e prende alcune assi di legno e comincia a inchiodarle alle finestre. Le guardie cominciano a spallare la porta che è più resistente del previsto. L’uomo è una tigre in gabbia, va avanti e indietro e comincia a inchiodare assi a qualunque possibile apertura. Le guardie vanno a chiamare altre guardie. La strada è una platea di spettatori sotto gli ombrelli, che sfidano il freddo di febbraio pur di vedere come andrà a finire. Si sparge per tutta Torino la notizia dello scrittore assediato dalle forze dell’ordine.
Sono passate due ore e mezza, l’uomo è stremato ma resiste. Un boato fragoroso giunge alle sue spalle, qualcosa di enorme ha appena sfondato il muro della camera. Come hanno fatto ad arrivare fin lì? L’uomo si accascia sul divano rassegnato al carcere, ma dalla voragine provocata sul muro non entrano le guardie, è un elefante. Sì, un elefante a Torino, nel suo appartamento. La vista lo fa quasi svenire. Dall’elefante scende un uomo con una vistosa fascia sulla fronte e i capelli lunghi, come un messia orientale e brandisce una lunga scimitarra.
“Son qui padrone”
“Sandokan?”
“Sono io padrone, che c’è da fare?”
“Ma come diavolo hai fatto… l’elefante…”
“Non ho fatto da solo, padrone, c’è con me l’amico Yanez che non mi ha voluto abbandonare nell’impresa di attraversare l’oceano per giungere in queste brume remote. C’è un bel po’ di diavoli là fuori eh? Ma adesso ci pensiamo noi, riposatevi padrone. Uomini! Alle armi, usciamo e conciamo per le feste questi selvaggi!”
L’uomo non riesce a parlare, guarda a bocca aperta quella meraviglia. Da altri elefanti scendono uomini armati fino ai denti e un distinto occidentale.
“Piacere, sono Yanez De Gomena, mi sono sempre chiesto quale fosse il vostro aspetto, capitano, gradite un tè?”
Gli uomini di Sandokan hanno divelto la porta e si sono scagliati sulle guardie. I corpo a corpo sono terrificanti, urla disumane accompagnano le agili gesta di quei forzuti. Sandokan ha afferrato due guardie e ha sbattuto fra loro le teste di quegli sventurati, il sangue invade le strade di Torino. Gli elefanti abbattono i lampioni.
“Venite, capitano, salite sul mio elefante, si va a casa!”
“A casa?”
“Sì, vedete? I nemici sono tutti morti, ora siete libero, anche quest’avventura è portata a termine e ora si torna nella nostra amata Mompracem”.
L’uomo sale esterrefatto sull’elefante, ma non si chiede niente. La chiassosa carovana attraversa le strade di Torino tra gli sguardi terrificati dei cittadini. Al porto di Genova, li attende un veliero, pronto a fare rotta verso Mompracem.

 

Nota biografica: Emilio Salgari, nella realtà, morì suicida nel 1910, poco dopo che la moglie fu ricoverata al manicomio, assillato dai creditori e dal fisco, dopo avere scritto oltre 80 romanzi.


Natalino Balasso


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