Sì, lo so, dicono che la vita dell’attore è tutta un’avventura. Eppure io posso testimoniare – e dico la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità – che la vita dell’attore è la speranza di un’avventura, il sogno di qualcosa che non si avvera. Quanti viaggi ho creduto di poter fare, firmando i contratti e leggendo copioni che si svolgevano all’altro capo del mondo; e invece mi ritrovavo puntualmente a due passi da Fregene, e comunque in provincia di Cinecittà. Forse dipende dal fatto che il cinema esige dai suoi adepti (attori, registi, tecnici) un grande tasso di professionismo e, in qualche modo, i comandamenti del professionismo si assomigliano dappertutto. Qualche io fa sono andata in America, con l’orgoglio di essere stata chiamata come protagonista di un film commedia, intitolato in Italia “Un blue jeans con gli occhi rosa”. Beh, non ci crederete ma anche a New York, dove pensavo avrei trascorso notti pazze, come tanto cinema e tanta letteratura mi avevano fatto credere, sono finita su un set, otto o dieci ore al giorno, puntuale a ogni prova d’abito, a ogni maquillage, a ogni riunione del regista. E lì vi posso assicurare che non scherzano, anzi io ho pensato spesso che forse il professionismo l’hanno inventato loro. Intendiamoci, va benissimo così, perché il nostro è un mestiere un po’ eccentrico, che ha bisogno di essere, quando può, controllato da vicino. Ma questa è la ragione per cui l’avventura rimane solo nella nostra mente: spesso ipotizzata, raramente vissuta. Certo, anch’io ho avuto qualche buffo contrattempo, qualche set bizzarro, qualche partner pittoresco, qualche soggetto non facile da digerire: mi sono baciata, mi sono picchiata, mi sono rincorsa, ne ho fatte di tutti i colori, e tante volte sono stata travolta da un insolito destino. Ma l’avventura come la pensate voi, che state davanti al grande schermo, o pronti a osservare lo spiraglio del sipario che sta per aprirsi, l’avventura che passa alla storia prendendo la scorciatoia della piccola grande gloria, quella no, quella è rimasta una carrozza che si chiama desiderio. Io, al proposito, ho una mia filosofia. Ho capito ormai, per legge dell’esperienza, che quel tipo di avventura che dicevamo non c’è, non esiste, è frutto degli uffici stampa della Hollywood che fu. Ma credo che la mia vera avventura (non voglio coinvolgere la categoria, anche se ho motivo di credere che il destino non è mai singolo) sia interpretare un personaggio, calarmi senza rete dentro una psicologia che non conosco, affrontare i tic, i pensieri, i guizzi, la varietà del carattere di un ruolo, qualunque sia. Questa è la mia grande, vera, avventura, quella cui non saprei e non vorrei mai rinunciare per tutto l’oro del mondo. Quando leggo un copione per la prima volta, e sento che può stare sulle mie misure di donna o d’attrice (o magari su entrambe), provo davvero un’emozione che ha a che fare con il viaggio o l’esplorazione di qualcosa che devi conquistare con le tue forze, attraverso un lungo cammino. Certo, è un’avventura interiore, che poi tento di materializzare facendo l’attrice, e che nessuna radiografia potrà testimoniare. Dovete credermi sulla parola. O forse sulle parole, al plurale, che per tanti anni ho detto e che per tanti anni ancora continuerò a dire, per illudermi e illudervi.  


Mariangela Melato


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Smemoranda 1987


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