Era la nostra cerimonia. Leggere qualche paginaad alta voce infilati sotto le coperte, prima di iniziare i nostri baciselvatici. Odiavo quando Elisa si addormentava prima di concludere le letture,ma non succedeva quasi mai.
Ricordo che quella sera, la sera del mio compleanno, leggevamo le ultimepagine de L’irravanabile Jacob contro i fratelli Mururoa. Guardavo Elisanegli occhi color dell’acciaio, e sapevo che in qualche maniera diagonaleeravamo la stessa cosa. Immaginavamo la stessa cosa. Se Anatole Brigueulcol suo stile rancido e visionario, ci racconta di quando l’irravanabileJacob guida a fari spenti nell’area portuale di Marsiglia, so per certoche Elisa la immagina minacciosa nelle medesime luci basse del porto mercantiledi Cremona, giusto al di là delle reti, dove c’è solo nebbiae frangersi fiacco di un mare improbabile. Me l’ha confermato lei stessacon uno sguardo diretto che mi ha accarezzato il cuore.
Era il nostro posto, quello. Il nostro rifugio per le serate randagie. Nonerano in tanti a sapere che la zona mercantile di Cremona era orfana diqualsiasi sistema di sicurezza. Bastava svoltare quell’ultima curva, esprimeresottovoce un desiderio da sbarbo lirico, e voilà, eravamo oltre larete spinata, al sicuro nella bolla pulsante di musica che riempiva la utilitariagiapponese di Elisa. Ci abbiamo fatto cose allucinanti, dentro quella macchinada Paperopoli. Cose che solo un uomo e una donna possono fare, probabilmente.Tra le ombre mostarde e le inequivocabili presenze dei cargo colmi di torrone,Elisa e il sottoscritto sono stati la stessa cosa.
E lo siamo anche adesso, mentre leggiamo le ultime pagine che ci ha regalatoAnatole Brigueul, quando l’irravanabile Jacob tira fuori una buona quantitàdi delirio vendicativo e il revolver d’argento che gli ha regalato suo fratelloprima di morire. Elisa e il sottoscritto sono fusi in un’anima sola, purissimasperanza che l’irravanabile Jacob ci dia ancora altre emozioni o insegnamentidi vita, magari.
Elisa e il sottoscritto sono una cosa sola, attenta a percepire ogni scricchiolionell’oscurità del porto di Marsiglia, una sicurezza a coprire lespalle dell’irravanabile Jacob. Lo seguiamo come in un sogno. Elisa e ilsottoscritto sono una cosa sola, proiettata in avanti a perlustrare le baracchedi lamiera: facciamo strada all’irravanabile Jacob, il cuore in gola, chéil nostro eroe deve ancora insegnarci qualcosa, e per farlo ha da arrivaresano e salvo alla parola Fine. Elisa e il sottoscritto sono una cosa sola,e specialmente nel momento in cui “l’irravanabile Jacob, con tuttala determinazione di una vita autunnale, fa abbaiare il revolver. Li vuolevedere mentre spappolano a terra come frutti maturi, i quattro Mururoa.Vuole vedere mademoiselle morte che seduce senza fatica, schiude le labbraagli assassini di suo fratello”.
Ricordo che quella sera, la sera del mio compleanno, Elisa si addormentòproprio mentre leggevo ad alta voce quelle parole. Stanca, la mia boccucciada fiorellino chiudeva gli occhi proprio sulla penultima pagina della irravanabileoffensiva contro i fratelli Mururoa. Non ho smesso di leggere.
Lo stile rancido e visionario di Anatole Brigueul ha iniziato ad isolarmi,in maniera inizialmente impercettibile. Mi stavo intrippando di brutto conl’irravanabile Jacob e la sua inevitabile vendetta. Li aveva proprio stesi,i quattro Mururoa.
Sono uscito con lui dall’area portuale di Marsiglia sulla vecchia Matra-Simca,mi sono concesso anch’io un brindisi celebrativo & silenzioso alla LangousteIvre. L’irravanabile Jacob beveva Negroni: l’ho fatto anch’io, con una certatarchiatezza.
Sono arrivato con il cuore pieno di speranza alle ultime righe. L’irravanabileJacob si sporge sul bancone. Attraverso queste ultime parole rancide e visionarie,forse Anatole Brigueul mi vorrà dire qualcosa.
“Auguroni, Jacob”, dice l’amico barman. “A chi brindi stasera?”
“Ai soli veri eroi. Quelli che uccidono la sera del proprio compleanno.”
Fine.
Lo sguardo mi è slavinato sulla ampia porzione di pagina bianca,e da lì è schizzato verso l’orologio sveglia che Elisa edio tenevamo sul comodino, ai tempi in cui eravamo la stessa cosa.
Erano, mio dio, le 23:59 ((SNZ)). Nonostante gli incantevoli spageti bolonieseche mi aveva cucinato, le strinsi le dita intorno alla gola. Nonostantele candele disposte senza risparmio. Nonostante la nostra relazione.
Elisa cedette al bacio saffico di mademoiselle morte con un gorgoglio dipiccole ossa frantumate. Un gorgoglio incredulo di uccello ammazzato a tradimentonel proprio nido, se è possibile immaginare qualcosa del genere.
L’irravanabile Jacob ha alzato il bicchiere verso di me. Anche il barmanha sorriso, detto qualcosa stile “auguri, ragazzo!”.


Enrico Brizzi


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Smemoranda 1998


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