Recalcitrando come un mulo, parto da Napoli col Micione, mio fidanzato fresco fresco all’epoca, alla volta di Tunisi, destinazione Kelibia.
Soffro moltissimo il mare. Perché 24 ore di nave quando in aereoce ne vuole una? Eh no, perché il redivivo Conrad, il cornuto, adorale atmosfere rancide dei porti maleodoranti, le attese inquinate sulle banchine,tra lo sciamare di famigliole sudanti e gracchianti, la poesia dei tubidi scappamento dei camion che si imbarcano. Il merdoso. Sotto un sole bagnatoda un’umidità opprimente, partiamo. Il mare non mi è amico:la nave si dimena tutto il tempo come una Natalia Estrada in preda a unacrisi di macarena. Mi sento una centrifuga. La canaglia, invece, in statodi perfetta beatitudine, mi trascina a poppa inanellando bestialitàdel tipo: “Lì è Strombolicchio amore! Erutta ancora ognitanto, sai?” Mi bacia. Lì ho il primo conato. Il secondo, inevitabile,arriva quando l’infame, vestito da Grande Gatsby, mi porta a fare 4 saltinella discoteca di prua. Maturo un rancore sordo, pronto a deflagrare daun momento all’altro.
Poi, finalmente, la terraferma: Tunisi ci accoglie; ma con un brulichìoforsennato di corpi arroventati e di rumori assordanti. Vacillo. “Ilcùscus amore!”. Repentino come un attacco di dissenteria, lacarogna mi ficca in bocca un pezzo di caprone, piccante come l’inferno.Lo maledico a denti stretti. Mi sorride placido: “Buono eh?”.Gli assesto a bruciapelo un bel calcio nei garretti. Sorride ancora.
Del viaggio in pullman che ci porta a Kelibia, 180 km, dico 180, sulla costaa nord di Tunisi, vorrei tacere. Dirò solo di strade violentementetumefatte, e dell’autista che alla partenza scandisce poche, dolorose parole:”L’air conditionné c’est tombée”. Bestemmio calma.Odio il Micione di un odio gelido e perfetto. Gli sferro una gragnuola dicolpi nello stomaco che lui scambia per tenere effusioni. Mi fa le fusa.No comment. Mi addormento rattrappita. “Amore svegliati, siamo arrivati!”Apro gli occhi, emergo dolente dall’abisso psico-fisico. E rimango senzafiato. Kelibia! L’incanto: mare, cielo, sabbia, stelle. Tutto è nitido,perfetto, immobile, potentissimo. Una bellezza sensuale e arcaica, semplicee magnifica, sontuosa e regale. Annuso il mare. La spiaggia è bianchissimae deserta. Di tanto in tanto una capanna di pastori bèrberi col fuocoacceso davanti, il profumo del pane appena cotto, di tè alla mentae di spezie misteriose. Galleggio nel silenzio profumato d’Africa. Sonostordita. Guardo piano il Micione; con riconoscenza. Lo amo adesso. E luilo sa.
Il nostro bungalow è qui sul mare. Il grande letto a baldacchinodi legno ci vede abbracciati e felici, stregati ed esausti. Ma poi fa caldo,che caldo! Lenzuola madide e attorcigliate. Chiediamo: “Changez lelit, s’il vous plait.” E osserviamo increduli 4 giovani vallets dechambre che portano via a fatica, in spalla, il nostro tàlamo dilegno. “Grazie, ma ci bastava cambiare le lenzuola!” Grande ospitalitàaraba!
Usciamo. Nelle viuzze strette del paese, seguiamo un camioncino che camminaa passo d’uomo; è un vecchio “Leoncino” scoperto, traballante,carico all’inverosimile di nomadi vocianti. Siamo attirati dal loro cantoacutissimo e incessante: “l-l-l-l-l-l-l-l-l-l-” È il cantopropiziatorio delle donne bèrbere. Vanno al matrimonio di Nakhìlae Saìd, e anche noi, se vogliamo. Gli sposi sono nel cortile poverissimodella casa, issati su una sorta di altare, immobili e distanti come divinità.La sposa è vestita d’argento. È bellissima. Gli occhi brillantie fissi. Il viso lucente e levigato come porcellana. I boccoli ridondantie fermi come le bambole sui buffet.
E poi la festa, nel campo pietroso, nella notte accesa dalle stelle e damille fuochi guizzanti. I suonatori percuotono spudorati i violini, i cembali,i laud, i cròtali, i tamburi. Suona tutto. E tutti danzano come spiritelliburloni e struggenti, frenetici e felici. Mi esplode il cuore. I vecchiridono e bevono il tibarrine di dattero, le vecchie, come baccanti, nonsmettono mai quel canto acuto, sempre più alto: “l-l-l-l-l-l-l-“E l’aria profuma di menta, di incensi, di vini sanguigni, di mille aromistupefacenti. Non è un fesso quel Micione lì! Dove mi ha portato!Lo amo molto. Lo sposerei subito, in questo momento, in questo campo. Trai mille fuochi e i mille suoni, e quei matti che non la smettono mai diagitarsi nell’aria.
Ho l’anima che ride, che mi sprizza dappertutto.
Il fatto è che poi mi sono fidanzata con un musicista, il Cucciolone.Vuole portarmi in canotto a Filicudi, il cornuto.
Ma questa è un’altra storia.