Chiedersi quale sia l’oggetto del proprio amore è come farsi un esame di coscienza. Lo consiglio a tutti, a scadenza decennale. Ci si accorge di come trascorra rapido il tempo e dell’altrettanto rapido mutare della personalità. In principio amavo l’amore tout court. Poi le donne. Poi la musica. Poi la famiglia. Poi il lavoro. Così sono arrivato oltre i quaranta, con un grande amore per il lavoro. Il mio si svolge nello sport: devo amare i campioni, i divi, gli idoli, tutto ciò che fa tiratura. Questa è la vetrina. Dentro no. La mia anima è vicina a chi perde. Sono uno di quegli italiani che – come dice Enzo Ferrari – non perdonano il successo altrui. Ma dice ancora Ferrari: “Nella vita arrivar secondi non conta niente. Vuoi dire perdere “. Ecco perché amo i perdenti, perché mi danno l’uomo che c’è dietro il campione, e non è poco. Ho amato l’Inter – prima odiatissima – dal giorno in cui perdette la finale di Coppa dei Campioni, a Lisbona il 25 maggio del 1967 giocando con il Celtic. Il Mago allora parlò di truffa; io mi convinsi che quei supervincitori avevano semplicemente rimesso i piedi a terra: la sconfitta li nobilitò e li rese amabili. Ho amato Merckx la mattina del 2 giugno 1969 quando, in quel di Savona, lo vidi piangere sul lettuccio di una camera d’albergo: lo avevano scoperto drogato, forse non lo era, ma certo le sue lacrime furono l’umana disperazione che incrinò per sempre il suo sorriso di ghiaccio, il sorriso dell’eterno vincitore. Ho amato Cassius Clay fa notte dell’8 marzo 1971, quando i martelli di Joe Frazier lo stesero al tappeto, e pareva una balena nera arenatasi su una spiaggia dopo una tempesta: uomo anche lui, dopo essere stato leggenda, “il più grande”. Ho amato Nino Benvenuti la sera dell’8 maggio 1971, quando Bruno Amaduzzi interruppe l’uragano Monzon che lo stava sradicando dal successo e fors’anche dalla vita. Poi, tanti altri amori, perché davanti a ogni vincitore c’è un vinto, un dramma umano tanto simile ai miei, quando ho perso; della mia vita rammento solo le sconfitte che mi hanno fatto scoprire che avevo amici; e invece le vittorie mi hanno sempre lasciato solo. La carezza d’un amico vale tanto più degli applausi della folla.


Italo Cucci


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Smemoranda 1986


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