Bela Hamann, il calciatore che visse tre volte

di Enrico Brizzi su 12 mesi - Smemoranda 2014





Cento anni fa, all’epoca di Re Vittorio Emanuele III detto “Sciaboletta”, il campionato di calcio italiano viveva ancora il suo periodo sperimentale: i trasporti difficoltosi e l’oggettiva disparità fra squadre più esperte e formazioni neonate imponevano un campionato diviso in gironi locali, i vincitori dei quali accedevano alla fase-clou del torneo. Da due distinti tabelloni uscivano i campioni del Nord e quelli del Sud, destinati a incontrarsi solo nella finalissima.

Anche l’abbigliamento dei giocatori era assai diverso da quello odierno: i calzoncini corti facevano timidamente la loro apparizione per sostituire le classiche braghe alla zuava, le mute di maglie erano raffazzonate, e molti uomini scendevano in campo con una benda intorno alla testa per evitare di tagliarsi con le cuciture del pallone nel colpire di testa.

In attesa di risolvere l’annosa polemica sulla natura del calcio (passatempo per dilettanti, o sport aperto al professionismo?), l’atletico undici della Pro Vercelli conquistava un titolo dopo l’altro, e i presidenti dei club fondavano ancora le loro rose su volonterosi atleti del territorio, che solo le società più ricche integravano con l’innesto di calciatori tatticamente più evoluti provenienti dall’estero.

 

Alla partenza del campionato 1913-14, la colonia più esotica era senza dubbio quella del Genoa, giunto secondo l’anno precedente sotto la guida dell’ex calciatore inglese Billy Garbutt: oltre al connazionale Percy Walsingham, centravanti già in forza al Millwall e al Clapton Orient,  mister Garbutt aveva voluto in squadra ad ogni costo i tre fratelli Crocco, che arrivavano dal Perù e parlavano un miscuglio incomprensibile di spagnolo, quechua e lucano.

Albino, il maggiore, era centrocampista e figurava nei tabellini di gara come Crocco I. Giulio (Crocco II) era invece attaccante, mentre il diciottenne Ernesto, Crocco III, per il momento poteva farsi valere solo nella squadra-ragazzi. Qualcuno diceva che vivessero in un appartamento principesco, mentre altri sostenevano che i Crocco erano costretti a dormire nella stiva d’una nave alla fonda, come clandestini.

Come non bastasse quella babele nello spogliatoio, all’ultima settimana utile per inserire nuovi tesserati nella rosa del club, Garbutt si assicurò la firma dell’austro-ungarico Bela Hamann, di passaggio a Genova nel corso di una crociera.

Il biondo Hamann, centrocampista e bandiera del leggendario Rapid Vienna, accettò di giocare il torneo per i Grifoni in cambio di 30.000 lire e di una villa con servitù sulle alture cittadine. Era una richiesta senza precedenti, ma Garbutt sapeva essere convincente quanto un Mourinho ante litteram, e convinse la società, smaniosa di riconquistare il titolo, ad accontentare il giocatore.

Hamann si trasferì con la moglie, la violoncellista Sissi Schwarz, e due figli biondissimi; conduceva uno stile di vita dispendioso, ma era un atleta esemplare, e si guadagnò la stima dei compagni, che sbalordiva in allenamento con le sue prodezze. 

Quell’anno, il Genoa sbaragliò la concorrenza nel torneo ligure-piemontese: la tigna di Crocco I  e la precisione del terzino De Vecchi stroncavano le manovre avversarie, mentre la classe superiore di Hamann garantiva una fluidità di gioco senza precedenti, così che gli attaccanti erano liberi di andare al tiro un numero impressionante di volte. Percy Walsingham e Crocco II, il gentleman e l’indio, formarono una coppia di cannonieri eccezionale, capace di bombardare i rivali cittadini dell’Andrea Doria, annichilire il Torino e affondare i campionissimi della Pro Vercelli.

Il torneo nazionale vero e proprio, da giocarsi fra metà marzo e metà giugno del 1914, vedeva ai nastri di partenza Genoa, Casale, Inter, Juventus, Vicenza e Hellas Verona, e la formula prevedeva che le squadre s’incontrassero in partite di andata e ritorno; scommesse e opinioni degli esperti indicavano i Rossoblu tra le squadre favorite, ma la prima giornata del torneo accadde qualcosa che i presenti non avrebbero dimenticato tanto facilmente.

Erano venticinquemila, gli spettatori che gremivano il moderno stadio comunale di via del Piano, inaugurato tre anni prima nel quartiere di Marassi, ed erano tutti in attesa di vedere i beniamini di casa fare un solo boccone dei rivali di giornata, i piemontesi del Casale.

I nerostellati erano una squadra giovane, priva di assi stranieri, che poteva già dirsi contenta di trovarsi fra le regine del campionato; Garbutt contava di liquidarli senza troppa fatica, ma non aveva fatto i conti con lo spettacolo che si trovò di fronte nello spogliatoio: la stella della squadra, Bela Hamann, risultava irreperibile, e gli altri calciatori più rappresentativi, lividi e zoppicanti, sembravano ubriachi reduci da una brutta zuffa di strada.

Il fatto è che la sera precedente qualcuno aveva fatto trovare a Hamann una busta che conteneva una missiva scottante: l’anonimo autore sosteneva di avere le prove che la signora Sissi intratteneva una relazione con l’attaccante Percy Walsingham.

Hamann, perso l’abituale autocontrollo, si era presentato a casa di questi per chiarire la questione, ma la domestica l’aveva informato che il signor Walsingham era appena uscito. Lei stessa ignorava dove fosse diretto, ma in realtà anche l’Inglese aveva ricevuto da pochi minuti un messaggio anonimo: vi si garantiva che tutta la città gli rideva dietro e gli dava del cornuto, dato che anche i turisti di passaggio sapevano che sua moglie andava con il terzino De Vecchi.

Così Walsingham era partito alla ricerca di quest’ultimo ma, alla pensione dove alloggiava, avevano spiegato che il terzino del Genoa e della Nazionale era uscito da poco, piuttosto alterato, per andare a regolare una questione coi fratelli Crocco.

Quando Walsingham rientrò, frustrato per non avere trovato De Vecchi, notò subito Hamann che l’aspettava sotto casa.  Erano entrambi su di giri, e non trovarono di meglio da fare che prendersi a cazzotti fra loro, per poi annegare il loro turbamento in una sbornia colossale; dopo avere pianto, riso e menato nuovamente le mani, si persero di vista solo all’alba, quando l’Inglese si addormentò sul pavimento d’una bettola al Porto antico.

Nel frattempo, De Vecchi aveva rintracciato i Crocco nell’appartamentino con vista stadio dove, in realtà, i tre vivevano, ed era piombato in casa come una furia: gridando frasi sconnesse relative alla propria fidanzata, e alla lealtà che ci si attende dai compagni, aveva colpito il più anziano dei Peruviani col primo soprammobile raccattato in giro, solo per suscitare la giusta ira di Crocco II e Crocco III che, decisi a vendicare il fratello, avevano ingaggiato una rissa furibonda col difensore azzurro.

Chi avesse spedito le lettere non è dato sapere, ma forse non va lontano dal vero chi suppone che il brutto scherzo originasse dagli ambienti d’una tifoseria rivale.

 

I venticinquemila del Comunale erano impietriti.

De Vecchi, una spalla fuori uso e il ginocchio destro gonfio come un melone, caracollava senza costrutto, senza riuscire a rallentare le discese degli avversari; Crocco I, impedito dalla benda che gli copriva l’occhio destro, risultava incapace di intercettare le giocate dei nerostellati, e l’assenza di Hamann inchiodava il Genoa nella propria metà campo; non un pallone arrivò a Percy Walsingham, lasciandogli agio di portare a spasso la propria terribile emicrania senza la preoccupazione di dover giocare il cuoio, mentre Crocco II, i nervi a fior di pelle, riuscì disastrosamente a farsi ammonire al decimo minuto, ed espellere entro il quarto d’ora. 

Verso il trentesimo le matricole terribili del Casale segnarono, gettando nella disperazione il pubblico e mister Garbutt; i giocatori di casa, punti nel vivo, replicarono con un finale di tempo sostenuto ma sterile, quindi si accasciarono negli spogliatoi, ormai esausti.

Per rianimarli furono servite uova fritte con pancetta e litri di caffè, ma non appena riprese il gioco, il Casale segnò nuovamente, e Walsingham svenne nel cerchio di centrocampo. 

I Grifoni erano rimasti in nove, e il resto della partita fu giocato per pura formalità, con gli ospiti padroni assoluti del campo e il pubblico che rumoreggiava e lanciava monetine, minacciando di invadere il terreno per linciare i giocatori.

Persa quella prima partita, il Genoa si trovò nella scomoda posizione di inseguitrice e, ad aggravare la situazione, non c’era verso di trovare Bela Hamann; quando la Polizia ascoltò la deposizione di Percy Walsingham, si fece largo l’ipotesi che il giocatore, umiliato dalla presunta rivelazione sui tradimenti della moglie, si fosse tolto la vita.

Nonostante la sparizione dell’asso austro-ungarico, il Genoa giocò da par suo il resto del torneo, ma il Casale non mancò un colpo e, a giugno, si laureò a sorpresa campione d’Italia.

Chiunque fosse l’autore delle lettere anonime pensate per impedire al Genoa di vincere il titolo, era riuscito nel suo intento. 

 

Dopo mesi di ricerche, anche la Polizia si arrese, e il campione venne dato per suicida. La sua famiglia lasciò Genova alla fine dell’estate, e migliaia di persone scortarono al treno la signora Sissi vestita a lutto e i due figlioli dell’asso.

Quel giorno venne solennemente interrata nel campo di Marassi una medaglia commemorativa dedicata alla memoria di Hamann e, nei mesi a venire, nessuno trovò opportuno comunicare che, in realtà, il campione era sano e salvo nel proprio appartamento di Vienna.

A partire dal mese di settembre, tanto a Nord quanto a Sud delle Alpi si giocò l’ultimo campionato prima della sospensione dettata dallo stato di guerra: forse Hamann, tornato in forza al Rapid, rimpianse la sua precipitosa fuga da Genova, ché in quella stagione i biancoverdi viennesi delusero le aspettative, mentre i Grifoni, con Garbutt in panchina, De Vecchi a guidare la difesa, Walsingham al centro dell’attacco e i tre Crocco schierati in simultanea, riuscirono finalmente a conquistare il settimo titolo.

Ancora qualche mese, e l’Europa andò a fuoco dalle Fiandre ai Carpazi; anche Bela Hamann fu richiamato nell’esercito imperial-regio di Francesco Giuseppe, e nel ’16 i giornali scrissero ch’era morto durante un assalto alla baionetta sul fronte orientale.  Se la sua scomparsa non fece troppo rumore, fu solo perché in quei giorni gli uomini restavano sul terreno a migliaia.

Di calcio non si parlò più per cinque lunghi anni, e nel 1920 i superstiti dei vecchi tornei erano ormai troppo malandati per farsi valere contro i ragazzi. Una nuova generazione di calciatori si affacciò alla ribalta, e dei tempi in cui potevano bastare tre lettere anonime per far deragliare una squadra, in breve si perse la memoria.

 

Nel 1922 Billy Garbutt allenava ancora il Genoa e, a campionato concluso, decise di organizzare una tournée estiva in Sud America.

I Grifoni furono accolti con tutti gli onori a Buenos Aires, e si fecero valere contro l’Independiente e il River Plate. Solo nell’ultima partita, nello stadio del Boca, incassarono una pesante sconfitta: l’esperto regista del gioco argentino, ch’era stato tesserato come Rudi Schwarz ma somigliava come una goccia al vecchio Bela Hamann, risultò immarcabile, e mandò in rete cinque volte i suoi avanti.

Garbutt non aveva dubbi: si trattava del suo vecchio calciatore. D’altronde, sapeva troppo bene che, laggiù, nessuno gli avrebbe creduto, così rinunciò a denunziare quell’uomo che aveva incassato un ingaggio faraonico dal Genoa, per poi sparire nel vivo del campionato.

Si racconta che fu Hamann, ad andare a stringergli la mano, scusandosi per il trambusto che aveva causato, e raccontando della sua nuova vita in Argentina.

Non sappiamo se Billy Garbutt, in quell’occasione, gli abbia concesso il suo perdono, ma è possibile che abbia provato un brivido, nel parlare di nuovo con quell’uomo creduto morto per due volte, e ormai lanciato nell’avventura della sua terza vita.

 

 

Enrico Brizzi è nato a Bologna nel 1974, e si è fatto conoscere giovanissimo grazie al best-seller Jack Frusciante è uscito dal gruppo (1994).

Dal 2004, ogni primavera compie un viaggio a piedi insieme agli amici Psicoatleti; fra i più notevoli la Via Francigena da Canterbury a Roma, l’antico itinerario dei pellegrini fra l’Urbe e Gerusalemme, e Italica150, un itinerario originale di 2191 chilometri dalla provincia di Bolzano a quella di Siracusa.

Le sue opere più recenti sono i tre romanzi dell’Epopea Fantastorica Italiana (L’inattesa piega degli eventi, 2008; La Nostra guerra, 2009; Lorenzo Pellegrini e le donne, 2012) e la raccolta di racconti L’arte di stare al mondo (2013).

 

Enrico Brizzi


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