Cappuccetto rosso e il problema della disoccupazione

di Manuel Vázquez Montalbán su 12 mesi - Smemoranda 2003





Avere una madre miserabile che apre le tende e alza le tapparelle alle sette di mattina, con l’intenzione di gettarti sul mercato del lavoro così di buon’ora, sarebbe giustificabile se subito dopo non ti seguisse in bagno per costringerti a pesarti davanti ai suoi occhi mentre lei commenta nauseata:
     – Hai messo su quattro etti. Se vai avanti così, finisce che schiatti, come il tuo caro papà, riposi in pace.
     E non ancora soddisfatta, quella schifosa ti si pianta davanti in cucina, vigile, quando cerchi di rifarti dall’evidenza che la vita continua lì, identica, con una colazione frugale ma, a suo parere, eccessiva: un uovo à la coque che mi riesce sempre troppo cotto, una spremutina d’arancia, tre, quattro fette di pan tostato, sette, otto cucchiai di marmellata, formaggio fresco scremato, prosciutto cotto poco calorico, un pezzetto di frittata con le patate, talvolta una salsiccia, due nei casi estremi. Si potrebbe con meno superare quell’angoscia metafisica, chissà se concreta, che una donna di trent’anni vive quando pesa troppo, non ha un lavoro e non c’è specchio che le menta? Mia madre ha piazzato per la casa specchi deformanti e bilance ingannevoli. Nessuno specchio mi restringe la figura e sono convinta che mia madre si alzi tutte le notti per truccare le bilance e provocare la sceneggiata del giorno seguente.
     – Hai messo su quattro etti. Se vai avanti così, finisce che schiatti, come il tuo caro papà, riposi in pace.
     Per umiliarmi mi costringe a lavoretti puerili, come andare al supermercato del quartiere a comprare questo o quello, o mi fa stirare il bucato o scrivere biglietti di auguri natalizi alle persone meno indicate del mondo. Ma più di tutto mi irrita che mi adoperi per consolare l’eterna terminazione di sua madre, di mia nonna, agonizzante fin dai tempi della guerra d’Indocina, da quando si trattava ancora di una guerra tra il Viet Mihn e i francesi. Mia nonna lotta contro la morte da cinquant’anni, mia madre non sopporta né la nonna né la morte e si serve di me per superare la sua cattiva o falsa coscienza.
     – Avanti. Va’ a portare questa focaccia al tonno alla nonna, lei va matta per il tonno.
     – Ma se le danno tutto tritato e a volte non riesce a mandar giù manco un boccone e la nutrono dal naso.
     – E’ l’intenzione che conta. So che mia madre va matta per le focacce al tonno. Ci ho messo un tipo di tonno speciale, chiaro, chiarissimo, quello che lei preferisce.
     Ed eccomi qui che porto la focaccia alla nonnina, con la tentazione, angosciata, metafisica, concretamente angosciata, di aprire il pacco e mangiarmi io la focaccia seduta sulle scale di casa mia o di casa sua. Per fortuna, mia nonna è in coma da nove mesi, e non c’è focaccia che l’aiuti. Non sente nemmeno più gli odori, poveretta, e di vivo le restano appena gli occhi annebbiati e bene aperti, nonché la volontà di rompere le scatole alla signora che l’accudisce, a sua figlia e a me, finché le riesce. La sola cosa gradevole di queste visite a casa della mummia è che passo davanti all’officina dove lavora come meccanico Jesús, un compagno di scuola che mi aveva corteggiata nella seconda infanzia e che per lusingarmi mi diceva di aver sempre preferito le ragazzine un po’ cicciotte. Ma, a partire dai quindici anni, la mia grassezza gli deve esser parsa eccessiva, e d’allora si limita a salutarmi da lontano e rare volte abbiamo intavolato una conversazione interessante, se escludiamo l’incontro casuale al Luna Park l’estate scorsa. Alle montagne russe era rimasta libera solo una carrozza, ci capitò di incontrarci lì davanti e di condividerla. La mia stazza lo costrinse a scegliere tra rimanere, in modo eccessivo e claustrofobico, stretto nello spazio di sedile che io gli lasciavo libero, e sedersi quasi sulle mie ginocchia, in ogni caso appoggiandosi di brutto sul mio corpo. Io gli commentavo: Non sono grassa, la grassezza è una metafora della metastasi, o al contrario, se si legge quanto ha scritto Baudrillard sui grassi. Scelse la seconda opzione e sentii che quell’uomo si trasformava, diventava un altro, interessante e sessualmente minaccioso, e allo stesso tempo un neonato che dipendeva dalle mie carni pneumatiche, grandi, propizie, che l’accoglievano come una patria. Dal ricordo di quella meravigliosa esperienza in cui credetti di vedere un Jesús molto commosso e dall’astio degli andarivieni al mausoleo in vita della nonna, spuntò l’intenzione di unire memoria e desiderio, di mettere insieme l’istante meraviglioso del Luna Park e il desiderio di dare un senso alle mie prestazioni famigliari di brava nipote. Così, una mattina, mentre andavo dalla nonna per portarle un plum-cake al cioccolato, mi fermai davanti all’officina di Jesús e gli dissi:
     – Ho un problema con la nonnina invalida. Si è bloccato il meccanismo per far salire e scendere il letto, non si riesce a sollevare lo schienale e le verranno le piaghe. E’ già tutta una piaga, nonostante le pomate che le spalmo, non vorrei che peggiorasse ancora. Potresti venire a sbloccare il meccanismo?  Penso che bastino un po’ d’olio e una chiave inglese, ma io non ci so fare.
     Jesús quasi mi si mise sull’attenti. Lui non aveva mai avuto una nonna, e la cosa gli era dispiaciuta parecchio.
   – Una nonna è come una madre tenera.
   – E un nonno è come un padre tenero.
     Precisai. Decidemmo che sarebbe venuto dalla nonna un’ora dopo, appena sistemato il tubo di scappamento a cui stava lavorando e io andai avanti per preparare la scena dell’incontro. La vecchia aveva accanto una vicina di casa, che le teneva compagnia per quasi tutta la giornata e io l’invitai ad andarsene per riposarsi un po’, mi sarei presa cura personalmente della nonnina. La donna, cui non avevo mai rivolto la parola perché la ritenevo una cretina e una scroccona, si stupì non meno della nonna, un po’ allarmata perché la si lasciava sola con me. Mia nonna somiglia a sua figlia, o al contrario, ma né l’una né l’altra mi sopportano. Mia nonna, finché le riusc^ di parlare, non lasciò passar giorno senza dirmi:
     – Sei grassa come una balena.
     E quando ormai non emetteva che suoni gutturali, non so come facesse ma riusciva a esprimersi con la chiarezza sufficiente per ferirmi: Sei grassa come una balena, ripeteva una e più volte con voce nasale a aggiungeva con una crudeltà sociale appresa in tempo di guerra: Statisticamente è dimostrato che i grassi trovano meno posti di lavoro e muoiono prima.
     Appena rimanemmo sole, presi la nonna in braccio nonostante agitasse nervosamente le gambe mettendo in pericolo le giunture delle ossa e la portai nella stanza degli ospiti dove mi facevano dormire da bambina quando mi costringevano ad andare a trovare la mummia e a passare da lei la notte, una lunga notte che superavo andando in punta di piedi al frigo e divorando quanto ci stava dentro. Una volta sistemata la nonna nella stanza che le spettava in quanto precaria transeunte della vita, mi spogliai e, in mancanza di una camicia da notte che si confacesse alle mie dimensioni, improvvisai una veste con delle lenzuola matrimoniali, lasciai aperta la porta di casa, mi sdraiai sul letto e disposi le pieghe della mia tonaca improvvisata lasciando scoperti un seno e una gamba.
     Jesús arrivò all’ora prevista e gli gridai che la porta era aperta. Il ragazzo entrò e rimase turbato come mi auguravo, perché laddove si aspettava di trovare la vecchia trovò invece me, e in un’offerta carnale tanto abbondante che si rifiutò di guardare.
     – Scusa. Torno dopo quando ti sarai riposata. Il letto della nonna, è questo?
     – Mi ci sono sdraiata io perché la poveretta non pesa quasi niente, il che rende difficile constatare l’entità del guasto.
     Gli indicai con un gesto perentorio di aggiustare il letto servendosi del mio peso come prova della verità e mi accinsi ad ascoltare le esclamazioni del caso:  Ma  che naso grosso che hai! Che bocca grossa!, vale a dire tutte quelle cavolate, riferimenti simbolici del cannibalismo sessuale, che avevo studiato alle lezioni di antropologia. Ma Jesús non disse nulla del genere. Mentre lavorava con la chiave inglese e muoveva il letto, davanti ai suoi occhi il mio seno ballava la danza del ventre, perché il mio seno destro sembra un ventre, a differenza di quello sinistro che è più discreto. Quando volle fare i controlli definitivi, non poté fare a meno di sfiorarmi la coscia mentre girava la manovella e quando io alzai ancora un po’ il lenzuolo vide le mie parti più segrete poste ai piedi di un monte di Venere che sembra piuttosto una cordigliera ammorbidita ai tempi del Terziario e non corretta dai movimenti tettonici del Quaternario.  Lo vidi commosso. Sbattei le mie poderose ciglia e sussurrai:
       – Ho preparato tutto questo per te.
       – Hai provato con lo sciroppo d’acero?
     Enigmatica risposta. Una perversione non ancora ideata dalla mia immaginazione!  Eppure proprio io ho inventato l’uso di spray pettorali e nasali contro il catarro come balsamo per le mie urgenze: mi metto davanti a una corrente d’aria e sento, nel ritirarsi dei vapori, le mie carnalità più tenere aprirsi, quasi fossero accarezzate da un vento tagliente.
      – La cura a base di sciroppo d’acero e succo di limone ottiene straordinari dimagrimenti. Mi spiace che sprechi la tua giovinezza e mi sono permesso di portarti una bottiglia di sciroppo di linfa d’acero. Ecco la dose di succo di limone e di pepe di Cayenna che ci devi aggiungere. Dieci giorni a dieta rigorosa di linfa d’acero e perdi dieci chili. Credo che adesso il letto sia a posto.
     Se ne andò da dove era venuto e quando mi ripresi dalle distruzioni animiche, dopo aver pianto a tal punto che la ruggine quasi mise in pericolo il lavoro di Jesús, preparai la miscela: mezzo limone in mezzo litro di linfa d’acero e acqua, un pizzico di pepe di Cayenna. La nonna all’inizio si rifiutò di mandarla giù. Ma aveva la cannula al naso e fu da lì che la feci passare aiutandomi con una siringa per animali che avevo conservato nel comò come ricordo del nonno, veterinario, morto di tubercolosi nei disgraziati anni Quaranta. In dieci giorni, la nonna non riuscì a calare manco di mezzo chilo.

Traduzione di Hado Lyria


Manuel Vázquez Montalbán


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