Carolina aveva diciotto anni nel Duemila, e in queste poche stagioni del nuovo millennio ha già fatto in tempo ad imparare almeno tre cose preziose.
La prima è che l’economia e il commercio non fanno per lei. Almeno a livello universitario, voglio dire. Meglio scienze politiche, si è detta Carolina dopo pochi mesi. Anche se non dà sbocchi immediati nel mondo del lavoro, almeno ti consente di studiare un po’ da vicino cosa sta succedendo nel mondo vero.
La seconda cosa preziosa che ha imparato è come si parcheggia raso al marciapiede la Ford di mamma.
Quest’ultima potrà anche sembrare una sciocchezza, ma Carolina, alla fine di determinate serate spese con gli amici al Noctambus, le birre che girano di mano in mano, riesce a percepire in modo pieno e rotondo l’agio di questa precisa conquista.
La più preziosa di tutte le cose che Carolina ha imparato è che Matteo non sarà mai il padre dei suoi bambini, né l’uomo che le augurerà la buona giornata nelle fresche mattine di primavera, né niente.Troppo egoista e insicuro, pauroso dei giudizi degli altri come una specie di attore.
Sono stati strani e in certo modo sconvolgenti, gli ultimi mesi della storia con Matteo.Sorprendente e angoscioso, vedere all’improvviso la persona a cui aveva promesso la sua dolcezza prendere le sembianze di un bambino prepotente che, in realtà, le prepotenze non poteva più permettersele.
Ci sono stati pianti e telefonate notturne e scenate, lettere e chiarimenti e settimane di ansia dura e grigia nello scoprirsi di nuovo da sola, ma adesso Carolina sta bene.
Bene come non è mai stata quando, per gli altri, era prima di tutto la fidanzata di Matteo.
Libera e curiosa.
Libera di essere curiosa.
Curiosa di tante vite semplici e tenere che le fioriscono intorno.
Ci sono pomeriggi in cui è ancora troppo presto per uscire, e i Radiohead, dallo stereo portatile incastrato sulla mensola, sembrano voler raccontare storie particolarmente vere.
Ci sono volte in cui la finestra della camera di Carolina, quella finestra con la tapparella di cannucciato al posto delle tendine che si affaccia sul quartiere dalla mezza vertigine del terzo piano, vuole insegnare cose che non sono scritte in nessun libro, neanche nei migliori.
Quella finestra parla di come le persone fanno fatica a stare insieme, della paura che rende tanti isterici o tristi financo nel modo di camminare. Dalla strada s’alza spesso il suono dei duelli di clacson, e le ripartenze nervose dei ragazzini in scooter raccontano d’un mondo in cui l’importante è arrivare primi, e il minimo che si può fare è provare a mettersi in mostra.
Carolina osserva. Prova a capire. A volte il suo sguardo si sofferma su un bimbo molto piccolo che la mamma porta a spasso per mano, e in quell’entusiasmo nuovo e antichissimo, Carolina prova a scorgere l’accenno d’un segreto.
Allora pensa che basterebbe un attimo, un attimo solo d’illuminazione vera, per comprendere l’essenziale intorno a cui ci affacendiamo con tutte le nostre domande.
Chi siamo,dove andiamo e, soprattutto, cos’è che ci spinge avanti.
Forse è il vento, pensa a volte Carolina.
Forse è il sole che ci scalda tutti.
Forse è il bisogno di trovare una persona speciale, e magari sono tutte queste cose insieme.
Altre volte si può guardare fuori dalla finestra e non vedere niente, solo scocche di macchine lanciate in avanti e bande di passeri che vanno via veloci nel primo anticipo di tramonto.
Allora per Carolina è facile vedere casa come un posto da cui, presto o tardi, dovrà allontanarsi per andare da qualche altra parte.
Non sa ancora quando accadrà, ma dovrà succedere, prima o poi, e al semplice pensiero l’entusiasmo si mescola alla paura.
Poi squilla il telefono, e una voce amica la invita, chiamandola per scherzo Cara Prudenza,a uscire di casa per giocare. Carolina ride, dice Va bene, e adesso che ha abbassato la tapparella in cannucciato, si veste in fretta per scenderein strada.