Quando vivevo a Cuba avevo un amico cileno che si lamentava spesso della triste sorte toccata al suo continente: “Ah, se l’avessero scoperto gli italiani, invece degli spagnoli…”. 
Inutilmente gli facevo notare il ruolo avuto da Cristoforo Colombo, e ancora prima da Paolo del Pozzo Toscanelli; e più tardi da Americo Vespucci e Giovanni Caboto e da un altro Giovanni, il di Terrazzano, scopritore del golfo di San Lorenzo.
Il mio amico cileno scuoteva la testa: la funzione degli italiani era stata dominata dalla fantasia, la colonizzazione l’avevano concretata gli spagnoli, popolo barbaro, amante della morte, e soprattutto del lucro per il lucro. Se al posto di quel Martin Alonso Pinzon, socio d’affari di Cristoforo Colombo nella prima spedizione verso le Indie, ci fosse stato un genovese come lui, – per esempio un Francesco Grimaldi o un Gerolamo Salvago che pure erano banchieri – secondo il mio amico cileno tutto sarebbe andato diversamente.
Non avrebbero poi spedito gente come Pedro de Alvarado o Francisco de Montejo a distruggere i Maja e gli Incas con le rispettive civiltà. Avrebbero magari fatto l’amore e non la guerra.
Gli italiani sono scopritori: come conquistatori non valgono molto, se non si tratta di donne. Discorrevamo così, stando sdraiati sulla spiaggia di Cubanàcan. Quel nome aveva fatto sussultare Cristoforo Colombo, convinto di trovarsi di fronte alle coste dell’impero del Gran Khan; Pinzon si precipitò, subito dopo, a vele spiegate, correndo da un’isola all’altra, alla ricerca dell’oro. Ma trovava solo gente pacifica che pescava per nutrirsi e per fare l’amore; i “siboneyes”, “i tainos” non conoscevano il lavoro come fatica. Sembravano figli dei fiori.
Questo fece arrabbiare Pinzon e Colombo non potè più frenarlo.
Tornarono insieme in Spagna e narrarono cose diverse: l’ammiraglio italiano sbalordiva con i suoi fantastici racconti che stimolavano l’immaginazione degli artisti e l’interesse degli scienziati; il ricco commerciante marinaio Andaluso, Martin Alonso Pinzon, puntava tutti i suoi calcoli su favole per attirare i commercianti, gli avventurieri, i cortigiani del monarca. Da quel momento tramontò la stella dei navigatori e il loro posto fu preso da una generazione di feroci conquistatori come i Balboa, i Cortes, gli Alvarado, i Jimenez de Quesada, i Pizarro.
I genovesi Grimaldi, Salvago, Vivaldi e Fornaris persero tempo e furono distaccati. Gli italiani mancarono la grande occasione e tutto il Nuovo Mondo fu conquistato da spagnoli, inglesi, olandesi e francesi.
“Un gran peccato” commentava amaramente il mio amico cileno, passandosi la mano piena di sabbia sul ventre leggermente obeso. E con aria calma e riflessiva mi parlava delle differenze tra italiani e spagnoli e di quello che poteva succedere nel mondo, se l’Italia fosse arrivata prima, se nel 1492 il nostro paese non fosse stato ancora diviso in cinque Stati, se gli italiani, arrivati in America come emigranti nell’800 fossero invece sbarcati come pittori nel ‘400. 
Le nostre conversazioni si prolungavano nell’ora della siesta, su quella spiaggia vicina all’Avana. Dietro di noi si alzavano la collina e le palme.
Pensavo a Mario Pondero, il più grande amico che ho genovese: Pondero gira il mondo con la sua macchina di fotografo famoso, col suo sorriso sicuro, e senza mai guidare va sempre in automobile. Se fosse sbarcato uno come lui, in quella che oggi è l’America latina, tutta la storia del mondo avrebbe avuto un altro corso.
Un giorno Dondero riunì l’intero corpo del personale della Comèdie Francaise – attori e impiegati – per una foto do gruppo.
Mentre stava per scattare la prima foto si accorse che non aveva il rullino. Era domenica. Non disse nulla, andò avanti lo stesso, salutò e non si fece più vedere per molto tempo a Parigi. Pondero ama le donne, sorride ai taxista, parla con i “tuareg” del deserto come se fossero anche loro genovesi. 
Capita, presentandosi come italiani a un nomade del Mali o in un villaggio boliviano, di sentirsi chiedere: “Italiano? Conosce Dondero?” Così avrebbero dovuto essere i primi europei ad arrivare a Tenochtitlan, la capitale del popolo del Sole.
Purtroppo, invece di Pondero, a quel posto della storia ci fu Francisco Bizzarro, ex guardiano di porci, veterano delle guerre d’Italia; andava a cavallo (animali simili a enormi cervi) e guidava soldati che possedevano strumenti che vomitavano fuoco. La sorte del mondo era segnata.


Saverio Tutino


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Smemoranda 1991


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