Più di, duecentomila persone hanno ieri decretato il trionfo di Walter Bonaccini consacrandolo come il più grande artista mai visto in Italia negli ultimi tempi, cancellando i successi dei concerti di Zero, Bosé, Marley, Bennato, Patti Smith, eccetera. “La coco-music di Bonaccini sarà la musica del duemila” già si dice nel giro di chi se ne intende. La cronaca: la gente ha cominciato ad affluire alla baracchina di cocomeri di via Mazzini, dove si sarebbe tenuta la performance, fino dalle quattro della mattina. Giovani col sacco a pelo, giovani senza sacco e pelo, ex-sessantottini ora dirigenti radiofonici, intellettuali circensi e da riporto, funzionari del Pci in cerca di talenti, socialisti in cerca di cocaina, fumati, tabaccati, sciroccali e bucati, agenti in borghese e vigili in costume da sceriffo, troupe di 400 persone con rimborso spese della Rai e giornalisti di tutte le misure. L’esibizione di Bonaccini e del suo cocomero parlante era stata lanciata da una campagna stampa senza precedenti. Il viso rugoso di Bonaccini (88 anni) aveva scalzato ogni rotondità dalle copertine di Panorama e dell’Espresso. Un paginone centrale di Repubblica definiva Bonaccini “la risposta italiana al reggae” e il suo strumento, per l’appunto il cocomero, “la sanguigna voce solare dello stivale”. Il Manifesto titolava: “II cocomero di Bonaccini è la voce rossa dell’odio urbano”. Lotta continua titolava: “Mordi e canta”. Sorrisi e canzoni, che, oltre ai contributi statali, è l’unica voce attiva della Rizzoli, regalava un poster di Bonaccini di quattro metri, e, in esclusiva, la vita di Bonaccini intervistato contemporaneamente da Enzo Biagi, Costanze e Orlando durante una briscola. Vi si raccontava la storia dell’umile gestore di una baracchina di cocomeri che, a settantanni, aveva cominciato a capire come il risucchio delle labbra sulla fetta si potessero ottenere momenti musicali di grande intensità: dalle prime esperienze, come i piccoli concerti in famiglia non capiti dalla moglie Rivira che gli urlava: “Basta, schifoso”, fino al primo disco Coco-music is new music che gli ha dato celebrità mondiale immediata, ai recital nei Festival dellâUnità e dell’Amicizia, alle sue apparizioni televisive. Su tutti i giornali divampava anche la polemica sulla colorazione politica di Bonaccini. LâUnità lo definiva popolare e rivoluzionario, erede di quella linea rossa del canto italiano che comincia dalle canzoni delle mondine per poi squagliarsi con Bennato e De Gregori. Per il Corriere Bonaccini è invece conservatore, come Zero e Celentano, in quanto rinuncia alla parola, cioè alla rivendicazione, perché tira a grana come tutti i cantanti di successo e perché la sua voracità è tipicamente governativa. Arriviamo alla baracchina di via Mazzini verso le ore venti. La folla è impressionante. C’è in aria l’odore dolciastro del cocomero che migliaia di spacciatori distribuiscono a prezzi all’ingrosso. L’organizzatore, che rappresenta una società Rea, Sipra, Cooperative agricole rosse e bianche, la United Fruits, case di jeans, di pompelmi e la mafia calabrese, dice che l’incasso è di quattrocento milioni. Dopo la pubblicità dell’olandesina e una presentazione di Benigni e Maria Giovanna Elmi, ecco alle ventuno apparire nonno Bonaccini. Veste tutto in rosso con cappello rustico ed è palesemente ubriaco. Si guarda un momento intorno e fissa i duecentomila. Quindi urla al microfono: “Che cazzo fate qui?”. La folla erompe in un urlo di gioia e alza le dita a mezzaluna, nel saluto cocomerico. Bonaccini taglia ora la fetta di cocomero, col rumore sordo che già usò Orson Welles per il suo Dracula. Il pubblico è come ipnotizzato. Ecco che si avvicina al microfono e comincia a mangiare: è un brano lento, insinuante, brodoso e senza senso che ricorda ai critici sia Lou Reed che Andreotti. La gente balla. Ora Bonaccini sputa, uno dopo l’altro, quattro semi. In quello sputo c’è il rifiuto della società attuale. Tutti sputano, il ciclo si oscura. Ora Bonaccini alza un dito e dice: “Questo cocomero fa schifo e mille lire una fetta è un furto”. È una critica serrata alla politica economica del capitalismo. Alcuni gradiscono, altri urlano di no, che musica e politica sono cose diverse. Scoppiano risse. Ma Bonaccini, ancora una volta, si conferma, oltre che musicista e artista finissimo, anche grande volpe del palcoscenico. Ferma la folla con un gesto. Poi esplode in un lungo, modulato rutto. I duecentomila accendono, tutti insieme, un cerino. La coco-music sale al cielo. Tratto da uno scritto di Stefano Benni apparso su Panorama del 28/7/80