Un agile passatempo. Un gioco da praticanti.
Io, stimato critico rock disponibile al migliore offerente, ero abituato a scavalcare ben altri ostacoli.
Era sufficiente che Rolling Stone, Billboard o Rock & Folk chiedessero e io li accontentavo.
Bazzicavo il music business da sempre, potevo contattare chiunque con una telefonata. Dal sessionman più sfigato alla popstar in odor di Grammy.
Stavolta, però, avevano dribblato le mie certezze: uno, il sudore; quattro, il computer che va in tilt; nove, la danza dei fogli stropicciati nel cestino; due, la vittoria liberatrice.
Millequattrocentonovantadue, l’anno rampante di Cristoforo Colombo. Cinquecentenario da sottolineare in rosso, mi aveva detto il direttore. USA, Sudamerica, Giamaica: la Nina, la Pinta e la Santa Maria come il pickup di un giradischi.
La scoperta colombiana al servizio del pentagramma. I rappers, i carioca, i rasta…
Un’ inchiesta monolitica per lo stimato giornalista. Adesso, dopo tanti mesi spesi in ricerche, appisolandomi nei terminal in attesa dell’ennesimo volo, ero sfiancato ma toccavo il cielo con un dito.
Il reportage era pronto in una pila di cartelle dattiloscritte.
Le palpebre si incurvavano, ma le pupille volevano raggiungere ancora quel trofeo sulla macchina per scrivere. Avevo voglia di cedere al sonno. Mi addormentavo felice. Il sogno stava per afferrarmi per il bavero.
Via dalla realtà, in discesa verso l’impenetrabile.
Grattacielo in vetrocemento nel cuore di Manhattan. sto seduto in una saletta al quindicesimo piano. Come ci sono arrivato non lo so; del resto l’inconscio onirico gioca di questi scherzi.
L’occhio sguscia sulla targhetta: Cristoforo Colombo Management. La porta si apre, prego si accomodi.
Mi ritrovo afflosciato dentro un’avvolgente poltrona. Piccolissimo. Di frote a me una scrivania che sembra una portaerei. Dietro, l’illustre navigatore genovese.
Fuma un sigaro avana e mi squadra. Si alza e mi indica un pannello con l’itinerario dei suoi viaggi: Palos- San Salvador- Cuba- Hispaniola- Puerto Rico-Domenica-Antigua-Guadalupa-Giamaica…
Cristoforo Colombo mi stringe la mano e mi attira a sé. Dice di aver letto ogni mio articolo, mi lusinga, mi promette ponti d’oro.
Per metà è in doppiopetto gessato, per l’altra metà indossa un abito cinquecentesco. So che sto vivendo un sogno ma non posso scappare. Vuole celebrare i cinquecento anni della scoperta dell’America in maniera trionfale. Lo ammette, è borioso; ma ammette anche di avere ingoiato troppi rospi.
Gli spagnoli sono gentaglia, vuole giustizia. Vuole le prime pagine dei giornali. O gli organizzo un concerto commemorativo o mi farà radiare dall’albo dei giornalisti.
Tutti allo Yankee Stadium: i più grossi nomi del Nord e del Sudamerica; i neri dei ghetti metropolitani, i giamaicani. Mi hanno messo in braghe di tela. Nei sogni la durata del tempo non esiste. Sono a Kingston, in Giamaica.
Parlo con Ziggy Marley, mi firma il contratto. Contemporaneamente atterro a Rio. Nella testa suona la musica di Estrangeiro.
Caetano Veloso accetta, oppure no, alla fine firma. Sulla spiaggia di Copacabana (colori daltonici, ma è pur sempre un sogno), blocco il relax di Jorge Ben. In un cinema di Sao Paulo riconosco Paco De Lucia.
Sono dappertutto, mi sento Superman. Se fosse così anche nella realtà guadagnerei il triplo. Un giornalista-Concorde. Azzanno la Grande Mela, mi insinuo negli anfratti suburbani. Sui muri graffiati vedo un manifesto: “Cristoforo Colombo For President”; l’immagine sorridente del genovese.
Mi sposto e i suoi occhi mi seguono. Catturo al volo uno yellow cab; il tassista si sintonizza su una stazione in FM. lo speaker annuncia il grande show colombiano. Non può essere, non c’è nulla di deciso…
Correre, bruciare le tappe. Scovo i Run DMC, Africa Bambaataa, LL Cool J. Elemosino la loro partecipazione.
Invio un fax disperato a Colombo: la prego, aspetti…la chicca del concerto sarà un a”testa parlante”.
Ripenso all’album Rei Momo: canzoni che ho ascoltato e riascoltato con l’emozione alle stelle. David byrne è il mio asso nella manica. Un intellettuale newyorchese che ha rielaborato il samba, il pagode, il forro, il merengue…
Un lampo. Sono nello Yankee Stadium gremitissimo. I musicisti fanno il loro ingresso sul palco. Movimenti di dolly e di steady-cam. Cristoforo Colombo troneggia al centro della scena. Fa il segno di vittoria, ride, coinvolge la platea. L’immagine si fa sfuocata, annerisce.
I miei occhi si sono aperti e hanno messo a fuoco il soffitto della stanza. Un sogno vissuto a scandagliare le Americhe. Ho guardato l’ora: mezzogiorno. Il pezzo avrebbe già dovuto essere sul tavolo del direttore. In redazione mi avranno già dato per disperso, ho pensato.
Doccia, i primi vestiti che mi sono capitati a tiro e ho guadagnato il pianerottolo. I gradini divorati a due a due. Uno stop vicino alla cassetta delle lettere. C’era una busta, l’ho presa e l’ho rigirata fra le mani. Era indirizzata all’esimio critico rock
. Mittente: Cristoforo Colombo Management.
Come dire, il cinquecentenario della scoperta dell’America, ovvero il navigatore in carne ed ossa.
Sono svenuto.