Adama Fofana adesso gioca nell’Isola del Liri, nel Lazio. Attaccante, un anno più grande di me. Allora era il bomber della Pavoniana, categoria Esordienti. Nato in Costa d’Avorio, ma cresciuto nella provincia di Brescia. Come me. Anch’io ho giocato mezzo anno nella Pavoniana, aveva una bella maglia bianca e blu. Ragazzi di dieci, undici, dodici anni al massimo con tanti sogni nella testa. E che fatica per gli allenatori farci capire che non potevamo andare in porta col pallone…
Il Trofeo BresciaOggi è una delle tante Champions League del calcio giovanile e dilettantistico in Lombardia: un numero infinito di partite e di calciatori. Qualcuno è arrivato in alto, partendo da lì. Fofana ha poi giocato nel Brescia e nel Como. Allora, invece, era l’avversario più pericoloso: noi Esordienti del Lumezzane, con la nostra bella maglia rosso e blu, sapevamo che era forte. Più forte di me. E poi una finale è sempre una finale, soprattutto se è la prima o la seconda o al massimo la terza della tua carriera. I genitori stanno tutti lì, aggrappati alla rete, e anche i fratelli, gli amici, i compagni di classe. Tutti che danno consigli, che urlano: “Vai vai”. A volte sei così confuso – dall’emozione e dalle urla – che non capisci neppure che cosa ti chiede o che cosa ti consiglia il tuo allenatore. Giovanni Valenti, allora, era il mio allenatore: un maestro, un amico, un ex compagno di squadra di mio fratello.
Anch’io, in quel Lumezzane-Pavoniana, ero un piccolo ex, ma ora potevo e dovevo fare qualcosa per la mia squadra. Mister Valenti, infatti, non vuole accontentarsi del 2-2. Mi chiede di entrare in campo e di segnare una tripletta. Ma come? – penso, basta segnare un gol in più di loro per vincere… Vabbè, il mister è fatto così, mi conosce, mi vuole bene, è una bella giornata di sole, gioco a calcio, è una finale… Entro e segno: una tripletta. Vinciamo noi del Lumezzane, però non mi va di festeggiare subito. Tutti corrono, urlano, si abbracciano, mi cercano, ma io in quel momento ho altro da fare. Sono fatto così, prendere o lasciare.
Fofana è a terra. Lo so, ci teneva tanto a vincere, ha fatto tanto per vincere il trofeo con i suoi compagni. Io vado da lui perché – penso – potevo essere al posto suo. Il calcio è così: un palo, una parata, un errore, l’arbitro, una buca in più o in meno su questi campi di periferia. Passi dalla felicità alla tristezza e neppure te ne accorgi.
Io e Fofana parliamo un po’. Forse la gente non capisce. Parliamo. Sono contento della vittoria e mi dispiace per la sua sconfitta. Ci consoliamo a vicenda. Solo quando mi dice: “Dai, tutto ok, grazie Mario” posso godermi la festa.
Mister Valenti ha capito. E mi ha lasciato fare ciò che volevo fare. Lui sa che per festeggiare c’è sempre tempo. Quel tempo che invece a volte manca, soprattutto nel calcio, per capire che potevi esserci tu dall’altra parte del campo. Puoi avere tutto – fisico, talento, volontà – e invece ti gira male il destino, non prendi la fortuna per mano, ti va storto qualcosa, un infortunio, una frase sbagliata…
Quella sera ho festeggiato con la mia famiglia e con mister Valenti nella sua casa sul lago. Oggi, ricordando quel giorno speciale, lo dedico ad Adama Fofana: io non dimentico.