Di alcuni inizi dell’inizio del mondo

di Aldo Nove su 12 mesi - Smemoranda 2015





Un inizio può essere quello che segue, che parla del divieto di mangiare fagioli: oppure un altro, a seconda del sogno del mondo da fare. 

 

A Crotone, nel V secolo avanti Cristo il divieto di mangiare fagioli era molto rigido.

Era un’ossessione  per i seguaci di Pitagora che da Samo si era trasferito in Magna Grecia a incominciare a sognare in una direzione. 

 

Mangiare fagioli era un crimine pari a mangiare la testa dei propri genitori perché attraverso i fagioli le anime si fanno strada dall’inferno alla Terra, il pianeta dove i viventi possono stare e dove tutto può  accadere. 

Le anime non sopportano di non esistere e sanno che nei fagioli c’è un varco e fanno di tutto per entrarci ma i posti per la vita sono limitati, e infinite le richieste di trasformare in un bambino l’incubo di non essere nati. 

 

Tutti hanno disperatamente voglia di esistere, tutti hanno bisogno di una storia e non importa se va a finire male o bene, ciò che importa è che sia una storia, che cominci con l’inizio e finisca con una fine, perché durante quel tempo l’aspettativa ripete che non c’è incubo, tutto può cambiare, nel tempo e attraverso il tempo la speranza prende corpo, dal corpo viene trasportata in un mondo che è meraviglioso da vedere, e in quella vista è la consolazione di tutti. 

 

Il tempo è come una pioggia che cancella le grida di chi ha aspettato troppo, prima di vedere la luce, e allora non vede più, sa che per l’eternità soltanto il buio lo attende, e non ha variazioni non ha sfumature, è indifferenziato buio mentre da qualche parte il buio lascia posto alla luce, e la luce al buio, e si alternano i giorni. E questa è la vita, da noi.

 

I giorni visti da lontano sono infinitamente piccoli ma ciascuno sa quanto attraversandoli l’eternità smetta il suo lamento lasciandosi andare al piacere di essere circondata da stelle e aria, lo sanno tutti, i vivi e i morti.  Solo questo che è dato sapere come una direzione verso la quale chiunque non vuole smettere di andare. 

 

Perché il male è stare fuori dai giorni a pensare quanto sarebbe bello guardare la vita che ti sta attraversando e allo stesso tempo, nel tempo, soffia dappertutto, legandoti forte allo spettacolo dei giorni che devono arrivare.

 

Il male è il dolore universale di chi non riesce a stare sul palcoscenico di ghiaccio dell’infinito ma, ai suoi margini, continua a gridare di non esserci e il suo dolore è un continuo trapasso di forme che si succedono inutilmente, e senza amore, e questa inutilità che non mette in gioco niente, questo niente,  è il dolore, che non riesce nemmeno a essere ucciso perché non è vivo, e vorrebbe almeno morire ma ne ha paura, è un grido che nessuno riesce a sentire, per quanto si copra di suoni, ed abbia colori da regalare a tutti, ed avventure.

 

E i fagioli stipano da tempo incalcolabile nel proprio corpo quel desiderio delle anime di entrare nell’antefatto universale, per poi uscirvi, così nel mondo, con il movimento eterno delle cose, perché ciascuna venga mangiata, e nell’atto di morire si trasformi. Il male è il dolore di non essere stato niente, nemmeno odiato al punto di essere eliminato perché ciò che non esiste non muore ed è deriso da tutti senza avere un nome,  senza essere stato detto, senza essere saputo.

 

E in questa voglia insopprimibile di incominciare accadde anche che un corvo ha battuto le ali e lo ha fatto di nuovo e poi, ancora.

E a ogni battito d’ali qualcosa aveva inizio.

Al primo battito gli oceani.

Al secondo il mondo.

 

E questa era una storia e a crearla fu un corvo. Ma non propriamente. Era un corvo che non si può immaginare perché era un uomo e un corvo allo stesso tempo, a seconda del suo battere d’ali si trasformava.

Era la maschera dell’universo che si dava da fare.

Era il suo dovere incominciare.

Dopo che creò il mondo battendo le ali, battendole di nuovo fece le montagne, e poi allo stesso modo le valli e i ghiacciai, seminando tutto di piselli.

 

Dopo cinque giorni un pisello si aprì e ne uscì un uomo.

 

A quei tempi non c’era altra creatura sulla Terra, e il corvo che sorvolava il creato per controllarlo per intero quando vide il primo uomo muoversi perché era nato scese in picchiata a conoscerlo per chiedergli chi era.

L’uomo non sapeva chi era, ma sapeva che era nato e a questo punto doveva fare qualcosa.

Il corvo lo guardava, era strano, si muoveva e voleva andare, ma non sapeva dove, e guardava il corvo, ed era nudo e si toccava i piedi, i capelli, e pensava che quello era il mondo.

Il corvo chiese all’uomo se sapeva almeno da dove veniva.

L’uomo rispose di sì, che era l’unica cosa che sapeva, e che veniva dal baccello di un pisello, e lo indicò al corvo che stette a pensare, cercando di collegare l’uomo che vedeva davanti a sé e il baccello del pisello aperto e capì che era successo così, un’altra cosa sarebbe potuta accadere ma era successa quella, e adesso l’uomo lo guardava, era nato e il corvo gli fece un’altra domanda, gli chiese se aveva fame.

L’uomo rispose di sì, e quella fu la seconda cosa che seppe.

 

Era nato, e aveva fame.

 

Il corvo disse all’uomo di aspettare, e volò via.

Dopo quattro giorni ritornò con due fragole e due more.

Le diede all’uomo che le mangiò con disperazione.
Per un istante l’uomo sorrise, ma subito dopo avere mangiato guardò il corvo, due fragole e due more non erano abbastanza, ne voleva ancora.

Ancora, era l’unica parola che riusciva a dire.

Il corvo disse all’uomo che gli avrebbe portato altro da mangiare, e volò via promettendogli di tornare al più presto.

Il corvo andò in cima a una montagna, con un colpo d’ali si trasformò in uomo e prese della terra e la plasmò fino a che non ebbe fatto due pecore.

Gli diede la vita e ordinò loro di brucare l’erba.

Le pecore obbedirono e il corvo capì di avere creato una cosa buona e fece molte altre pecore che in breve tempo riempirono la terra fino a che l’uomo non le vide muoversi lontano.

L’uomo, che era rimasto ad aspettare che il corvo tornasse portandogli qualcosa da mangiare, stava impazzendo per la fame, e si mise a correre verso le pecore e appena ne afferrò una iniziò a morderla, con le mani le strappava la lana e con i denti le affondava nel collo bevendone il sangue e mangiandone la carne e così continuava fino a che non era soddisfatto.

Dopo si addormentava, ma appena sveglio rincorreva un’altra pecora e da capo l’afferrava, le strappava la lana e la mangiava.

 

Il corvo vedeva tutto questo ed era preoccupato che con il passare del tempo l’uomo non finisse tutte le pecore, perché le pecore erano cosa buona, e per questo le aveva create, ma la fame dell’uomo non finiva e allora il corvo prese tutte le pecore e le trasportò su una montagne altissima dove l’uomo non avrebbe potute raggiungerle, ma allo stesso tempo per non fare morire l’uomo il corvo creò anche gli uccelli e i pesci, e gli uccelli li mise nel cielo e i pesci nell’acqua del mare perché potessero proteggersi dall’uomo.

 

Ma intanto da altri baccelli nascevano altri uomini che una volta nati non facevano altro che andare da tutte le parti per cercare cibo, tuffavano le mani nell’acqua per prendere i pesci, saltavano più in alto che potevano per afferrare gli uccelli e si spingevano sulle cime della montagna, a ridosso dei burroni, per catturare le pecore. Il corvo non ne poteva più di quello spettacolo, era diverso da come aveva creato l’universo e per punire l’uomo creò l’orso che lo spaventava. 

Con un colpo di zampa l’orso poteva uccidere quindici uomini affamati.

 

Ogni volta che l’uomo vedeva un orso provava paura e scappava, e con la paura iniziò a riflettere sul suo futuro e decise di diventare cacciatore, si organizzò per catturare gli animali fabbricando lance che attraversassero l’aria per colpire gli uccelli e canne che entrassero nell’acqua al posto suo per pescare i pesci e ogni giorno sulla terra cresceva inaudita la potenza dell’uomo e la sua violenza contro tutte le altre creature fino a che da un baccello non nacque la prima donna e come fosse un sogno un altro inizio incominciò, ed altri giorni ed altre notti arrivarono, ed erano nuove.

 

Diversamente prima che il mondo iniziasse a esistere per la prima volta come lo conosciamo, il confine tra il giorno e la notte non c’era, assolutamente, nemmeno per ipotesi, o scherzo, il confine si poteva pensare. 

 

Giorno e notte si mischiavano, e con loro il sogno e la realtà in un unico presente dove tutto era possibile perché non c’era distinzione tra vero e falso tra possibile e impossibile e gli antenati dell’uomo andavano dappertutto o non andavano in forma di piante, di animali o di uomini compiuti ma anche di creature dove non si capiva la differenza tra pianta e animale, tra pianta e uomo, tra uomo e animale.

Era quello il tempo infinito.

 

Quando dal nulla apparvero due esseri il nome che entrambi ebbero era Ungambikula.

Gli Ungambikula camminavano per la Terra e incontravano esseri mostruosi di ogni tipo e questi esseri erano i nostri progenitori.

C’erano progenitori con il corpo di serpente.

Fiori con la testa di leone.

Uomini con cinque teste, tre di uomo e due di donna.

Donne con cinque teste, tre di donna e due di uomo.

C’erano cinghiali con la testa di margherita e capre con il manto di petali di rosa, e fagiani con le piume squamate prendevano il volo.

 

Ovunque gli Ungambikula vedevano questi esseri, e moltissimi altri ne incontravano camminando spensierati per le strade della Terra.

 

Quasi nessuno degli esseri che gli Ungambikula incontravano sembrava fatto bene, e gli Ungambikula alla fine ebbero pena degli uomini che al loro inizio si trascinavano da uno stagno all’altro con il corpo di pesce e le zampe di gatto, provavano dispiacere per le scimmie che non riuscivano a arrampicarsi sugli alberi perché avevano le zampe fatte di spighe di grano e inoltre continuamente cambiavano perché così sono fatti i sogni quando incominciano.

 

Allora gli Ungambikula si fermarono un giorno a guardare tutta la Terra pensando al da farsi, volevano migliorarla per sempre.

Volevano che entrasse nel tempo, la Terra, per fare una storia.

Una soltanto, la migliore.

Questa.

La nostra storia. 

La storia dell’umanità.

 

Ognuno di loro due aveva alla cintura dei coltelli, li avevano ricavati dalla roccia e decisero di usarli per fare iniziare la realtà.

Gli Ungambikula presero i nostri antenati e incominciarono a intagliarli con il loro coltello fino a che ognuno di loro non prese una forma che a loro piaceva, e fu così dopo svariati tentativi molteplici errori che furono creati gli uomini e le donne come sono ancora adesso nei libri e nella vita, e i mostri erano solo un ricordo del passato, un incubo o semplicemente tutto il prima.

 

Così la nostra storia ha potuto avere inizio e continuare attraversando i secoli e le loro vicissitudini.

Era iniziato il tempo della realtà.

 


Aldo Nove


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