Domenica dalle 10 alle 12

di Lorenzo Beccati su 16 mesi - Smemoranda 1988





Domenica dalle 10 alle 12. Questo è l’orario di visita nei maggiori ospedali italiani, però tutto comincia alle 10 meno 10. I visitatori si accalcano e si spingono contro il cancello, tutti vogliono salire per primi, come se non ci fossero malati per tutti o forse per prendersi i malati migliori. All’ora fatidica si vede un’orda andare all’assalto delle corsie, annata della solita scatola di pavesini. I degenti hanno gli armadietti straccimi di pavesini, le mogli ne portano a casa borsate stracolme. I figli non vedono l’ora che il malato si rimetta e torni a casa per non dover mangiare ancora pavesini. È un peccato buttar via la roba… II bello è che i visitatori che portano la temutissima e inconfondibile scatola, sibilano: “Non sapevo cosa portarti… Non so se puoi mangiare di tutto…”. Ma chi glielo ha mai detto che i pavesini sono un toccasana per i malati?! Poi ci sono quelli che arrivano davanti alla soglia dell’ospedale e dicono: “Ah, non posso entrare, non sopporto l’odore dell’ospedale”. È una vita che lo sa. Cosa insiste a fare? Che se ne stia a casa e telefoni. La prima cosa che si dice al malato è: “Ma lo sai che dall’ultima volta hai proprio un’altra faccia?”. Per forza, mi sono fatto la plastica. L’unica variante a questo esordio pare sia: “Come va?”. E questo è il momento dell’apoteosi dell’ammalato. Subito parte in una meticolosissima descrizione dell’operazione subita. Non contento ti vuoi fare vedere la “profonda cicatrice”. Si mette in piedi sul letto, si tira giù i pantaloni del pigiama, scosta la garza e ti fa vedere il taglio. Ma prima, per pura formalità, ti chiede: “Non ti impressiona, vero?”. “Ma figurati!” Queste sono le tue ultime parole prima di svenire sulla gamba ingessata del vicino di letto. Tra i visitatori si svolge anche l’avvincente lotta per il momentaneo possesso dell’unica sedia in dotazione per ogni letto. Gli inesperti e gli spavaldi, invece, cedono generosamente la sedia, non sapendo che dopo mezz’ora la fatica si fa sentire. Così si incomincia piano piano a sedersi sull’orlo del letto. Più .passa il tempo e più si prende coraggio… Ho visto gente sfacciatissima sdraiata sotto le coperte sorseggiare un caffè caldo e il malato in piedi. Il personaggio più riconoscibile è “quello che ha fatto la notte”. È sempre in un angolo, con una pila di intrepido, monello, maxi-cruciverba riempito solo con “sonno e letto” sia verticalmente che orizzontalmente. In genere è intento a cercare la sintonia della radio girando i bottoni della giacca. Molti visitatori si mettono a scrutare con aria professionale la tabella della febbre che si trova ai piedi di ogni letto. Non parlano. Ogni tanto scrollano la testa… lanciano mugolii… Se trovano uno che gli da corda, esagerano. Fanno le ricette, visitano tutta la corsia, operano, dimettono gente in coma. Se uno riesce a resistere fino a mezzogiorno, può assistere al mitico pranzo dell’ammalato. Formaggini… spinaci… brodino… mezza pera… E le porzioni? Pensate che le porzioni dell’ospedale non si possono dividere in due a occhio nudo. Poi arrivano le infermiere e in modo brusco avvisano che l’orario per le visite è finito. E qui entrano in azione i falsi. Sono quelli che fingono di fare di tutto pur di riuscire a rimanere qualche minuto in più. Si nascondono negli armadi, si fanno passare per l’amante dell’anestesista, dicono di dover fare degli esami… In realtà fanno di tutto per farsi cuccare. Così l’ammalato è contento per l’attaccamento dimostratogli. Quando si esce dall’ospedale, dopo una visita, si è tutti un po’ filosofi. “Cos’è la vita… quanta gente che soffre… guarda dove si va a finire… l’unica cosa importante è la salute…”. E poi ci si accoltella appena fuori per la precedenza a un posteggio.  


Lorenzo Beccati


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