Per quelli del mio anno, il 1973, il servizio militare era obbligatorio. Tanti non vedevano l’ora di arrivare a 18 anni e partire. Girava voce che al militare “ci si divertisse un sacco”. Qualcuno diceva anche che “se avevi culo, potevi capitare in qualche caserma al mare e allora sì che te la saresti spassata”. Leggende metropolitane: tutti sanno che le caserme sono quasi sempre in località di profonda montagna. Al militare io non ci volevo proprio andare. Dopo 6 anni di università, una laurea, aziende pronte ad assumermi, dovevo andare a Udine, caserma Spaccamela e starci 10 mesi, a servire la patria. Peccato che lì servivo solo a tavola nelle mense. Un giorno decisi che non potevo starci un giorno in più lì. Mi diedero un foglio per inserire le mie destinazioni preferite e misi: Genova, la mia città, Milano, la città della notte, Roma, la città dei bucatini (in senso di pasta) e… mi mandarono al confine con la Slovenia. Quella era una caserma “operativa”, cioè lì non si spazzavano le foglie, ci si addestrava alla guerra, si passavano le giornate a pitturarsi la faccia come Swarzenegger e a fare addestramenti nel fango. Non potevo continuare così e una mattina decisi di “chiedere visita” e andai all’ospedale militare. Non avevo niente, ma qualcosa mi sarei inventato. Dissi di avere mal di schiena. Tutti presero molto sul serio quello che dicevo, infatti, non mi cagò nessuno. Di sera tornai in caserma, ma il giorno dopo chiesi di nuovo visita. Dissi di nuovo che avevo mal di schiena. Questa volta mi chiamò un ortopedico e cominciò a visitarmi. Simulai un’ernia del disco, condita da una lombalgia, sciatalgia e formicolio agli arti inferiori, patologia incompatibile con la vita militare, tanto che il solerte medico, che non ci capiva niente, mi prescrisse una TAC di approfondimento. La TAC è uno degli esami per i quali all’ospedale civile si attendono anche anni, all’ospedale militare invece no: la macchina per la TAC non c’è. La mia salvezza. L’ho capito quando andai dal maggiore dicendo: “Maggiore, l’ortopedico mi ha prescritto una TAC”, lui mi rispose in tipico accento di Gorizia: “E mo’ noi comm’ cazz te la facciamo fare sta TACCHE?”. “E che ne so io?”. Sta di fatto che non la feci e quel giorno mi riformarono. Indimenticabile. Evviva la Tacche!