In un tempo lontano, quando le fanciulle giocavano sull’aia coi fantocci di frumentone, nacque nel paese di Monteacuto un bambino che aveva già i denti in bocca.
La madre, spaventata dal prodigio, chiese consiglio alle vecchie del villaggio, e queste la convinsero che il piccolo doveva essere senz’altro il figlio del demonio. Fu così che l’innocente venne abbandonato dentro a una cesta sui gradini del convento di santa Brigida, per essere affidato alla carità dei religiosi.
Gli venne messo nome Fausto Speranza, e crebbe in sapienza e grazia di Dio. A sedici anni, dopo un paio di stagioni come apprendista tagliapietre, si congedò dai frati e partì a cercare fortuna nel mondo. Insieme al suo maestro, Fausto prestò la propria opera per costruire la Cattedrale di Colonia, dove si conservano ancor oggi le reliquie dei Re Magi; in sette anni di lavoro, apprese dagli iniziati le segrete proporzioni che governano le pietre, la terra e l’intero cosmo. Quando il maestro morì, Fausto partì a dorso di mulo verso la Spagna, dove si mise al servizio dei Mori. Costruì moschee e terme per tutta l’Andalusia, fino a divenire l’architetto favorito del Califfo: per lui disegnò il superbo Palazzo del Paradiso ma, temendo la stessa sorte di chi aveva concepito le piramidi, fuggì prima che venisse aperto il cantiere.
Imbarcatosi travestito da mercante, raggiunse la Sicilia e la splendida corte dell’imperatore-mago Federico II. Secondo il sovrano, ciascuno aveva il proprio posto nei misteriosi disegni celesti, e la missione di Fausto era di edificare la costruzione perfetta. Aprì per lui le casse imperiali, quando vide il maestoso progetto del ponte proteso a cavallo dello Stretto di Messina: era abbastanza largo da consentire il passaggio di sei carri affiancati, e statue di re e regine ne presidiavano le spallette.
Servirono tre anni solo per impiantare la testata sulla sponda siciliana, ma una mareggiata si portò via tutto in una notte. E Speranza morì di dolore.
Chi ha tempo da perdere discute ancora se, per le conoscenze tecniche dell’epoca, l’impresa fosse o meno possibile: di certo, fra Scilla e Cariddi sarebbero trascorsi ancora molti secoli senza l’ombra d’un ponte.